FOTOSTORIA: GLI SCATTI DI NINO LETO NELL’AFGHANISTAN DEI SOLDATI ITALIANI

Ho avuto la fortuna di lavorare spesso con un amico che è anche uno dei migliori fotoreporter italiani: NINO LETO. Mi fa quindi onore (e mi emoziona, per i tanti ricordi comuni, compresi quelli afghani) pubblicare qui una parte delle foto da lui scattate pochi giorni fa in Afghanistan. Documentano lo sforzo dei nostri soldati su un fronte decisivo, proprio mentre la morte del primo caporal maggiore Alessandro Di Lisio, 25 anni, paracadutista della Folgore, ci ricorda a quale prezzo l’impegno viene onorato.

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Nelle foto sopra: Nino Leto (a sinistra) nella sua “tenuta da lavoro” e la vedetta di un avamposto italiano.

Nonostante qualche ricorrente tentennamento politico, l’impegno militare in Afghanistan è stato costante fin dal momento dell’attacco contro i talebani nel 2001. Oggi l’Italia schiera nel Paese 3.200 soldati concentrati nel comando (anch’esso italiano) di Herat, capoluogo di una delle quattro aree in cui è stato suddiviso l’Afghanistan dai comandi alleati. Con il caporal maggiore Di Lisio sono 14 i soldati italiani caduti sul fronte afghano.

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Una pattuglia italiana ispeziona un palazzo di Kabul.

      La capitale dell’Afghanistan è una città enorme, con 4 milioni di abitanti, posta su altopiano allo sbocco di una serie di valli, quindi difficile da controllare. La ricostruzione, dopo il ventennio di occupazione sovietica e guerre civili, è stata rapida ma si è concentrata nelle zone intorno alle basi militari e alla presenza degli stranieri. Per il resto Kabul è una “città aperta” e il compito delle pattuglie resta difficilissimo.

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In queste foto: a sinistra, un elicottero Mangusta; a destra, un Predator, il drone da ricognizione.

Il caporale Di Lisio è morto durante un servizio di pattuglia, ucciso da una carica esplosiva detonata al passaggio del veicolo blindato Lince su cui lui e i suoi commilitoni stavano viaggiando. Subito è partita una polemica proprio su questi blindati, che lasciano quasi allo scoperto il soldato che, affacciato alla torretta, brandisce la mitragliatrice. Questa, però, è la realtà di una guerra condotta tra valli e gole, dove il controllo della situazione può essere ottenuto solo percorrendo senza sosta il territorio. Le truppe italiane, del resto, non mancano di armamenti moderni come quelli qui fotografati da Leto. Dal 2001 a oggi sono caduti in Afghanistan 1.250 soldati occidentali.

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Un soldato italiano “pedinato” da due bambini afghani.

Il rapporto con la popolazione resta uno degli aspetti cruciali e irrisolti della missione internazionale in Afghanistan. Gli italiani hanno saputo farsi apprezzare ma il problema è più vasto delle pur ampie capacità “diplomatiche” innate nei nostri reparti. Proprio per questo Obama ha deciso di cambiare strategia per quanto riguarda il papavero da oppio, la coltivazione che arricchisce talibani e signori della guerra e frutta, anche al primo livello del narcotraffico, centinaia di milioni di dollari l’anno. Prima l’ordine era di bruciare le coltivazioni o inondarle di diserbante. Questo ha favorito il risentimento dei contadini e fornito alla guerriglia un facile strumento di reclutamento. Il nuovo atteggiamento prevede di dare la caccia senza sosta ai trafficanti, risparmiando e proteggendo i contadini, ai quali semmai devono essere forniti strumenti e colture alternative.

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Nelle foto: al fronte e al campo, lo sforzo di prevenire eventuali attacchi.

Si è parlato per anni di “guerra asimmetrica”, avendo in mente le sfuggenti e crudeli azioni dei terroristi in opposizione alle operazioni strutturate degli eserciti di stampo occidentale. Ma una volta installati in Afghanistan (come pure in Iraq) i nostri soldati sono precipitati in uno scontro relativamente classico tra guerriglia ed eserciti. Purtroppo l’esperienza storica, dal Vietnam ai giorni nostri, insegna che nel lungo periodo la guerriglia tende a prevalere se nel Paese non riesce a insediarsi un governo credibile e un regime stabile. Questo obiettivo in Afghanistan è stato finora mancato anche per colpa del presidente Ahmid Karzaj e della sua cerchia, ormai da tutti accusati di inefficienza e corruzione. In agosto si svolgeranno le elezioni presidenziali. uno degli obiettivi dell’operazione americana Kharjan (Colpo di Spada) è anche rafforzare politicamente un Presidente più sopportato che amato ma visto, almeno per ora, come la migliore delle soluzioni possibili.

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Un avamposto italiano in Afghanistan.

      Tra le tante immagini di Nino Leto, scelgo per chiudere questa. Mi pare rappresenti benissimo la situazione: siamo forti e preparati, decisi e bene armati, ma il Paese che dovremmo “salvare” ci resta in gran parte sconosciuto. Il presidente Obama parla di “exit strategy”, di un progressivo ritiro basato sulla progressiva presa in carico dei problemi da parte dell’esercito e della polizia afghani. Il problema vero è che dopo otto anni (2001 – 2009) dobbiamo ancora trovare una vera “entry strategy” per entrare davvero in contatto con il cuore della popolazione. Non era facile, e non lo sarà in futuro. Ma dobbiamo sbrigarci, perché l’Iraq ribolle di nuovo e tra Afghanistan e Iraq c’è l’Iran.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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