NEOCOLONIALISMO? SI’ GRAZIE, PER SALVARE L’AFRICA

Neocolonialismo? Sì, grazie. Se si parla di Africa, soprattutto venendo da una Giornata mondiale a essa dedicata, bisogna temere non i paradossi ma semmai i fatti. Che dicono: 53 Stati, 1 miliardo di persone, il 20,4% delle terre del pianeta, 400 milioni di poveri che vivono con mezzo euro al giorno, 30 milioni di Hiv positivi nella sola Africa sub sahariana e il 65% della popolazione infetta del mondo. Certo, non è tutto qui. Uno sviluppo economico in generale innegabile, alcune consolanti previsioni di crescita (3% secondo il Fondo monetario internazionale) nonostante la crisi mondiale, la diffusione delle tecnologie di base. Buonissime cose. Resta da decidere se sostanziali o consolatorie, decisive o, al contrario, minate alla base dalla pressione congiunta di così tante, drammatiche e diverse emergenze.

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      Si ha dunque l’impressione che qualche volta il “politicamente corretto” sia di gran sollievo per i politicamente scorretti. A quelli che hanno le idee chiare, e non trovano disdicevole il “neocolonialismo” quando interviene a difesa dei loro interessi: che altro è l’idea, peraltro ottima, di mettere un funzionario Usa a fare il superministro nel Governo dell’Afghanistan? E a quelli che invece hanno idee confuse, e una gran voglia di lasciare andare: l’Africa al suo destino, noi alla solita illusione di poter perseguire un cammino che non s’incroci mai con quello altrui. I problemi legati all’immigrazione, clandestina e non, dovrebbero svegliare gli illusi. E un minimo di storia tutti quelli che, sulla base di considerazioni vecchie e nuove, credono che non sia dovere e interesse dei continenti sviluppati prendersi almeno parzialmente a cuore la sorte di quelli che sviluppati ancora non sono. Il recente e impetuoso progresso economico dell’Asia si sarebbe mai verificato senza i decenni di poderosi aiuti, dai microinterventi delle missioni alle donazioni degli Stati e delle istituzioni internazionali? Aiuti che proseguono anche oggi, se è vero che nel quadriennio 2003-2007 l’Asia centrale e del Sud ha avuto dagli Stati Uniti aiuti diretti pari a metà (1,5 miliardi di dollari contro 3,4) di quelli avuti dall’intera Africa.
      La polemica innescata dall’economista Dambisa Moyo (foto sotto), con il suo libro Dead Aid (più o meno: Aiuti mortali), è perfetta per le tv proprio perché fa il verso a quel fenomeno televisivo che fu il Live Aid organizzato nel 1985 da Bob Geldof per raccogliere fondi per l’Africa. Anche la ricetta è buona per i talk show: basta con le Ong (che hanno interesse a perpetuare la povertà per perpetuare se stesse) e con gli aiuti, avanti con gli affari, che diverranno prosperi appena i corrotti regimi africani capiranno che la pacchia degli aiuti è finita. Ottimo a dirsi, ridicolo a farsi. Perché i dittatori, domani, non dovrebbero fare affari e intascare i profitti proprio come, oggi, intascano gli aiuti? Perché i businessman dovrebbero costruire scuole, ospedali o tribunali coi soldi così guadagnati? Perché la Moyo è così entusiasta del fatto che un continente di poveri e affamati com’è ancora l’Africa cresca vendendo a chi può pagare le proprie risorse naturali?

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      Eppure una logica c’è. L’entusiasmo di alcuni, certo della Moyo, per i rapporti tra i Paesi africani e la Cina contiene una lezione. Quasi mai la Cina paga in contanti ma quasi sempre col lavoro, costruendo porti, ferrovie, strade, impianti. Ovvio, a Pechino il lavoro costa poco. Ma l’Occidente di tutte le tecnologie, e della straordinaria influenza politica, proprio questo dovrebbe fare: distribuire meno soldi e lasciare più opere, impegnandosi a gestirle e conservarle per l’avviamento. Lavorerebbero le nostre imprese e quelle locali e i frutti durerebbero. Neocolonialismo o no.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 26 maggio 2009   www.eco.bg.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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