NEL MONDO 6 LAVORATORI SU 10 SONO PIU’ CHE PRECARI. E MIGRANO DA NOI

La disinvoltura con cui in Italia si parla di precariato, esaltandolo da un lato come fattore di sviluppo e di crescita e dall’altro negando persino che esista in quanto tale, in quanto categoria, è un’altra delle cose che ormai stento a capire. Il fatto stesso che anni e anni di maggiore flessibilità del mercato del lavoro non abbiano reso né più vivace il mercato né più ricche le famiglie, dovrebbe dimostrare che certi entusiasmi sono almeno precoci. Anche perché di precarietà, nel mondo, ce n’è fin troppa, come dimostra un recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (gli anglofoni usano la sigla Oecd, noi quella Ocse), che in sostanza è il club dei 30 Paesi (l’Italia ne fa parte dal 1962) più ricchi e sviluppati del mondo.


      Il rapporto è stato chiamato Is informal normal? (www.oecd.org), per alludere fin dal titolo alla “anormalità” negativa dei rapporti di lavoro non formalizzati, non regolari. Sul pianeta siamo 6 miliardi. Di questi, solo 3 miliardi costituiscono la forza lavoro, la parte economicamente produttiva della popolazione. Di questi 3, il 60% (cioè 1,8 miliardi) è fatto di lavoratori non regolari e solo il 40% (1,2 miliardi) di lavoratori, come si diceva una volta, messi a posto. Quando si dice “lavoratori informali” si usa un delicato eufemismo per riferirsi a persone pagate meno di quanto si dovrebbe, con scarse o nulle protezioni rispetto alla sicurezza sul lavoro o alle malattie, sostanzialmente alla mercé del datore di lavoro rispetto a ferie, permessi e licenziamenti. Non a caso, in quell’1,8 miliardi di “informali” ci sono 700 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 1 euro al giorno e 1,2 miliardi di lavoratori che guadagnano l’equivalente di 1,7 euro al giorno. In più, aggiunge l’Ocse, la tendenza del fenomeno è a crescere, non a calare. Gli “informali” saranno il 66% della forza lavoro mondiale entro il 2020.

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      I dati sul reddito ci dicono che si sta parlando soprattutto di Paesi poveri o in via di sviluppo. Ma le cifre assolute ci dicono che ben difficilmente questa gente se ne starà buona dov’è, in quelle condizioni da fame, e non cercherà di spostarsi verso le zone del mondo come l’Europa o l’America del Nord dove il lavoro è meglio garantito. Queste migrazioni, come ben sappiamo noi italiani, sono di per sé un fattore di instabilità. Ed vietato illudersi sul prossimo futuro, visto tra l’altro che tutte le campagne per la lotta alla povertà hanno fallito l’obiettivo e i fondi per la cooperazione allo sviluppo sono in riduzione costante da diversi anni in ogni parte del mondo. L’Unione Europea, per fare un esempio, si era impegnata, nel G8 del 2005, a destinare ai Paesi poveri 69 miliardi di euro entro il 2010, ma siamo nel 2009 ed è ferma a 49 miliardi.
      Mi viene anche in mente che il precariato di massa (l’Italia ha una forza lavoro di 25 milioni di persone, delle quali 4 milioni hanno un posto non garantito) possa alla fin fine diventare un fattore destabilizzante per la società proprio perché offre una “porta” alle masse disperate che premono ai confini, sia nella forma di lavoro spesso rifiutato dai locali (per non parlare, poi, di quando sconfina nel lavoro nero) sia, in una visione di più lungo periodo, perché privilegia le vecchie generazioni rispetto a quelle giovani (per dire, la mia rispetto a quella delle mie figlie), creando opportunità per l’immigrazione. Se in Italia siamo 60 milioni e solo 25 producono, diventa necessario accogliere gente da fuori che lavori, paghi le tasse e le pensioni.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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