E’ Pasqua. Vorrei che tra i tanti pensieri che questo giorno agita in tutti noi, ce ne fosse uno anche per i cristiani lontani e perseguitati, o comunque costretti a vivere in condizioni in cui la loro fede rischia ogni giorno di trasformarsi in pericolo. Papa Benedetto XVI ha già lanciato un segnale imortante: le meditazioni sulla Via Crucis sono state composte da monsignor Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati nello Stato dell’Assam (India), un evidente omaggio alle sofferenze dei cristiani indiani dell’Orissa. E nel prossimo (8-15 maggio) viaggio in Giordania (e poi Israele e Palestina), il Papa incontrerà anche i cristiani che dall’Iraq della guerra civile sono finiti esuli appunto nel regno hascemita. Assai modestamente,vorrei qui proporvi una testimonianza su una Chiesa cristiana di antiche origini, anch’essa abituata a soffrire: la Chiesa cristiana dell’Etiopia. Me ne offre l’occasione la strepitosa mostra Nigra sum sed formosa , organizzata dall’Università Ca’ Foscari di Venezia (nella cui sede è ospitata), dalla Banca Popolare FriulAdria – Crédit Agricole e dalla Regione del Veneto, che ringrazio per aver autorizzato l’uso di questo materiale iconografico. La mostra sarà aperta fino al10 maggio, il catalogo è edito da Terraferma. Per ulteriori informazioni: “Nigra sum sed formosa – Sacro e bellezza dell’Etiopia cristiana”. Venezia, Università Ca’ Foscari (sede di Ca’ Foscari Esposizioni, chiuso il martedì); tel.: 041.23.46.947. Le foto qui sopra mostrano un monaco etiope e, in abito bianco, Abuna Paulos, dal 1992 patriarca della Chiesa ortodossa cristiana dell’Etiopia. Intervistato dal mensile Jesus (www.sanpaolo.org/jesus), il Patriarca ha raccontato: «La mia Chiesa è la più antica del mondo e la sua fondazione risale al tempo di Gesù, attorno al 35 d.C., subito dopo la sua morte e resurrezione. Tutti conoscono l’episodio dell’eunuco evangelizzato da Filippo: era un etiope e fu lui stesso a iniziare la nostra Chiesa, che da quel momento ha continuato a crescere fino al IV secolo quando è divenuta la Chiesa nazionale d’Etiopia. Al momento abbiamo 50 mila chiese in tutto il Paese. I nostri giovani vengono regolarmente a Messa, con presenze pari al 70%; in tutto, quindi, considerata la costanza con cui le fasce adulte e anziane vengono al culto, sfioriamo l’80% di popolo a Messa ogni domenica. Ma c’è un altro aspetto, cioè la vita monastica: non abbiamo mai vissuto una vera crisi delle vocazioni al monastero. Abbiamo 1.200 monasteri in tutto il Paese e 500 mila religiosi. Possiamo dire di avere 45 milioni di fedeli se si calcolano i cristiani etiopici che vivono all’estero, cui abbiamo destinato 17 arcivescovi. In Etiopia, invece, sono 45 i vescovi. Insomma, andiamo orgogliosi della nostra storia e della nostra presenza». Qui sopra: un’icona etiope rievoca l’incontro della regina di Saba con il re Salomone d’Israele. Quella che a noi è nota come regina di Saba agli etiopi è nota come Makeda ed è citata nella Bibbia, nel Corano e nel Kebra Nagast, il libro sacro della tradizione etiope. Saba era un regno antico che l’archeologia moderna situa appunto in Etiopia (o nello Yemen). Secondo la Bibbia, la regina di Saba venne a sapere della saggezza di Salomone, re d’Israele, e si mise in viaggio per incontrarlo portando con sé spezie, oro e pietre preziose (si dice 4,5 tonnellate d’oro). Nel Cantico dei Cantici alcuni riferimenti sono stati “letti” come la conferma dell’amore tra la regina di Saba e Salomone. Uno di questi è ciò che la regina dice di sé: “Nigra sum sed formosa”, sono scura ma bella. Che è appunto il titolo della splendida mostra veneziana.