Facciamo finta che gli schieramenti non esistano e non stiamo a dire da che parte politica militano. Ma secondo voi, che cosa passa nel cervello di quei parlamentari (9, pare) che, nelle proposte di modifica della Legge 157 del 1992 sulla caccia ipotizzano di mettere un fucile in mano ai sedicenni?
In questo Paese non c’è più un’università tra le prime 250 del mondo, le ferrovie sono un disastro, la posta va come va. C’è una crisi economica di portata mondiale da affrontare, l’immigrazione clandestina da gestire, le carceri che scoppiano. E uno che sta in Parlamento coi soldi nostri si produce in questa bella pensata?
Personalmente non ho nulla contro la caccia, purché sia ben regolata. Non potrei mai sparare a un animale ma non mi scandalizzo se qualcuno si diverte a fucilare fagiani d’allevamento. Però leggo: “E’ importante stabilire una filiera di continuità nell’attività venatoria, da padre in figlio, una tradizione che si perpetua”. Lo dice un senatore e io mi chiedo: perché è importante? Se domani sparissero i cacciatori (cosa che tra l’altro pian piano già succede: da 1 milione e mezzo di doppiette nel 1985 siamo arrivati alle 765 mila nel 2009) l’Italia non potrebbe andare avanti? Sono sparite attività ben più utili della caccia (quella dei taglialegna, per esempio, o quella delle mondine) e nessuno ha pianto. A chi importa, dunque, che la tradizione venatoria si perpetui? O dovremmo forse chiederci: a chi conviene?
Inoltre: nel 2008 ci sono stati 23 morti e 95 feriti a causa della caccia. Nel 2007 i morti erano stati 20 e 65 i feriti, sempre in “incidenti” di caccia, dove la parola incidente vuol dire questo: il cacciatore spara a una persona invece che all’animale che credeva di aver visto. Vi figurate che cosa potrà succedere quando per boschi e campagne andranno a passeggio adolescenti inesperti ma armati? Quegli stessi ragazzi ai quali, tanto per dire, non permettiamo di andare a votare o di guidare un’automobile? Complimenti agli onorevoli proponenti e condoglianze a chi li ha votati.