Sono oltre 1.500. «Fornire dati precisi è difficile: parliamo di una realtà in continuo divenire, solo stamane ho firmato tre convenzioni», precisa don Gianni Cesena, direttore dell’Ufficio nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese della Cei. Il numero dei sacerdoti stranieri che vivono e operano nel nostro Paese ha assunto dimensioni rilevanti. «Un terzo è rappresentato da studenti iscritti alle Facoltà teologiche che, nel tempo libero, si rimboccano le maniche all’interno delle nostre comunità ecclesiali», prosegue don Cesena. «I due terzi sono composti da sacerdoti direttamente impegnati nella pastorale come parroci, viceparroci o come responsabili di alcuni settori specifici: penso, ad esempio, al confratello indiano nominato direttore dell’ufficio missionario di Albenga». «Circa la provenienza, dominano l’Europa dell’Est e l’Africa», sottolinea don Cesena: «I polacchi sono più di 60, molti i rumeni, e molti i sacerdoti che arrivano dalla Repubblica democratica del Congo. Ma sono numerosi anche gli asiatici (India, Sri Lanka, Filippine) e i latinoamericani».
La scarsità di vocazioni italiane allarma. «Fin troppo», osserva don Cesena. «Dobbiamo passare da un’affannosa logica del bisogno (“occorre tappare i buchi, rivolgiamoci all’estero”), a una logica più evangelica: lo scambio tra Chiese è un arricchimento reciproco. Questa nuova mentalità si sta sempre più affermando. Così come aumenta la consapevolezza che questi sacerdoti vanno formati per garantire loro un inserimento non traumatico. Ed efficace». «Non basta insegnare un po’ d’italiano e via. Dal 1997, organizziamo appositi corsi su mandato della Cei», conclude don Maurizio Cuccolo, direttore del Cum, il Centro unitario per la cooperazione missionaria fra le Chiese che ha sede a Verona (045/89.00.329). «Quest’anno, al programma di primo livello (15 giorni, a settembre) ne affianchiamo uno di approfondimento (20-31 ottobre). Dopo l’arrivo di cappellani di gruppi etnici, dopo il massiccio ingresso di religiosi stranieri, stiamo passando a una gestione più programmata del fenomeno».
di Alberto Chiara
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