BUSH CRITICA, SARKOZY ANCHE, PERO’ SONO A PECHINO E LA CINA GONGOLA

      George Bush invita al rispetto dei diritti umani, Sarkozy si presenta con tre liste di dissidenti da liberare, un’ondata di manifestazioni si riversa nelle capitali di mezzo mondo. Ma l’interlocutore è la Cina e l’effetto va misurato sulla sua capacità di reazione e sulla sua crescente influenza sui rapporti politici ed economici mondiali. Così il ministero degli Esteri risponde all’illustre ospite americano dicendo che “il Governo cinese mette al primo posto gli interessi del proprio popolo”, che è quanto di più vicino a un “ognuno si faccia gli affari suoi” sia previsto dal linguaggio diplomatico, mentre il regime si gode gli equilibrismi altrui. Bush critica ma tra qualche mese se ne va e ha già fatto l’onore di essere il primo Presidente Usa a seguire un’Olimpiade fuori dal territorio americano. Sarkozy ha le sue liste ma è bastato che Pechino alzasse un ciglio per fargli spedire la moglie a incontrare il Dalai Lama. E poi c’è Putin, c’è Lula, c’è persino Yasuo Fukuda, premier del detestato Giappone che cordialmente ricambia. Che volete che siano poche maldicenze?
      Ultimo interprete di una cultura attentissima ai simboli, l’attuale regime cinese è però animato da un pragmatismo a prova di bomba. Queste Olimpiadi non sono un gioco, sono un investimento. Ai piccoli, che a fronte della Cina cominciano a essere molti, devono mostrare il volto affabile e insieme potente di quello che si avvia a essere il colosso economico del secolo. E ai grandi, agli Usa, all’Europa, agli emergenti come l’India o il Brasile? A loro la lezione l’ha fatta Hu Jintao, il presidente che, dicono, ha seguito da vicino la realizzazione della spettacolare cerimonia d’apertura.
      Anche lì, a dispetto delle apparenze, pochi simboli e molti discorsi diretti. Un bignamino di storia della Cina, o meglio: la storia con cui la Cina vuole essere identificata. Cancellata la rivoluzione maoista, esaltato il patrimonio culturale (scrittura, canto, danza), la vocazione al viaggio, alla scoperta e al commercio, l’imperialismo “benevolo” (i rappresentanti delle 56 nazionalità ufficialmente riconosciute e i soldati dell’Esercito Popolare insieme, a buon intenditor…), la genialità nell’invenzione (la polvere da sparo, la stampa). Prodotto di una simile progenitura? La Cina dell’organizzazione moderna, dello stadio-gioiello, della perfezione tecnologica.
      Solo una cerimonia, d’accordo. Ma non dobbiamo sottovalutarne il significato, che nelle segrete stanze del potere, a Pechino, è stato di certo misurato al millimetro. Anche da lì, dalle migliaia di comparse sincronizzate in modo quasi disumano, ci arriva un messaggio chiaro e quasi brutale: niente prediche, noi siamo quelli che avevano un grande impero e una grande civiltà quando da voi pascolavano i bufali e voi eravate conquista per barbari. Quello è il nostro passato, ciò a cui stiamo tornando.
      Dobbiamo aver paura di una nazione così grande, potente e convinta? Dipende dalla fiducia che abbiamo nei nostri valori. Possiamo credere che libertà e democrazia si possano costruire in punta di fucile e distribuire con i carri armati, e in quel caso siamo spacciati, con la Cina non ce la faremo mai. Oppure possiamo credere che libertà e democrazia siano armi in sé, che si facciano strada da sole semplicemente esistendo, facendosi desiderare e invidiare. A ben vedere il comunismo l’abbiamo stroncato così, più con i jeans e con Internet che con le bombe. In questo caso la Cina non potrà che seguirci, proprio come hanno fatto tutti gli altri. Potenza economica e forza militare bastano per un po’ ma non per sempre. Poi vuoi la tua dignità di uomo e di donna, e lì la cerimonia più spettacolare è sempre la nostra.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 9.8.2008  http://www.eco.bg.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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