ISRAELE, NON SOLO GENI IN QUEL MINISTERO DEGLI ESTERI

      L’aspetto più irritante della diplomazia di Israele è il doppio binario per cui da un lato nessuno può dire nulla sulle decisioni dello Stato ebraico ma dall’altro tutti devono prendersi cura dei suoi interessi. Un esempio concreto, anzi due. Il Governo israeliano ha autorizzato la costruzione di nuovi insediamenti per centinaia di unità abitative. Venti di queste unità saranno costruite nell’insediamento di Maskiot, nella Valle del Giordano, che in nessuna bozza di trattato di pace, in nessun colloquio internazionale, insomma in nessuna ipotesi di accordo tra Israele e Palestinesi è prevista come parte del territorio israeliano. Perché il progetto proceda manca solo la firma di Ehud Barak, ministro della Difesa, che certo non si tirerà indietro. Facciamo un’ipotesi da fantascienza: il nostro ministro degli Esteri Frattini, a nome del Governo italiano, manda una lettera a Barak in cui gli dice che forse sarebbe meglio lasciar perdere. Quale credete che sarebbe la replica? E di che tenore? Io per esempio penso che la costruzione di nuovi insediamenti, in particolar modo questi nella Valle del Giordano, non faccia altro che allontanare qualunque prospettiva di pace e fornisca agli estremisti palestinesi (e a chi li manovra) un’ottima scusa per raccogliere consensi intorno all’idea della lotta armata. Ma che cosa pensate che mi risponderebbe un qualunque esponente del Governo di Israele?
      Bene. Proprio nelle stesse ore in cui a Gerusalemme venivano prese quelle decisioni, l’ambasciatore di Israele all’Onu, Dan Gillerman, protestava vivacemente contro la condotta della missione internazionale Unifil in Libano, comandata dal nostro generale Graziano e in cui sono impegnati anche 2.500 soldati italiani. Ha detto Gillerman: “I soldati dovrebbero essere più intraprendenti, più aggressivi nei confronti di Hezbollah, per scoprire i depositi di armi. Dovrebbero andarci loro, non lasciare il compito all’esercito libanese, che spesso è colluso con Hezbollah”.
       L’ambasciatore Gillerman sa benissimo che il mandato della missione Unifil è preciso: assistere l’esercito libanese nell’opera di controllo e disarmo di Hezbollah. Quindi, molto semplicemente, gli uomini del generale Graziano non possono (né devono) fare ciò che lui chiede. Ma questa non è nemmeno la questione più importante. Tutti sanno che Hezbollah si sta riarmando e riorganizzando. L’esercito libanese, inoltre, non può certo essere la forza che disarma il movimento militare degli sciiti, per tante ragioni: è troppo debole; gli sciiti sono numerosi nei suoi ranghi (anche perché quella sciita è oggi la comunità più popolosa del Libano); simpatizza troppo con Hezbollah.
       Ma di questa situazione, indubbiamente gravida di rischi, Israele crede di non essere almeno in piccola parte responsabile? Nel 2006 il governo Olmert cadde a pie’ pari nella provocazione di Hezbollah (e di Hamas): quando i guerriglieri sciiti attaccarono una pattuglia israeliana in territorio israeliano, uccidendo otto soldati (i 6 di cui si sapeva, più i 2 i cui corpi sono stati restituiti pochi giorni), scatenò una guerra che in 34 giorni fece oltre 1.000 morti tra i civili libanesi (oltre a un numero imprecisato, tra 500 e 700, di guerriglieri Hezbollah uccisi negli scontri), oltre a radere al suolo buona parte delle infrastrutture del Libano.
      Prima ancora c’era stata, nel 1982, l’Operazione “Pace in Galilea”, con l’occupazione del Libano che, in varie fasi e modalità, è durata fino al 2000. Anche in quel caso, Israele mosse dalla legittima necessità di bloccare gli attacchi terroristici che i palestinesi portavano contro il suo territorio dalla regione Sud del Libano, ma riuscì molto rapidamente a combinare orridi pasticci: in origine alleata del Fronte Libanese di Bashir Gemayel, riuscì a compromettere l’alleanza (Gemayel rifiutò di attaccare Beirut Ovest, dove si erano asserragliati i palestinesi) e lo stesso Gemayel, che infatti finì assassinato. Quando le operazioni militari erano già terminate, si rese complice delle stragi nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, con centinaia di donne e bambini uccisi dagli uomini della Falange libanese. Che Israele fosse complice non lo dico io ma lo disse a chiare lettere la Commissione d’inchiesta (presieduta da Yitzhak Kahan, magistrato della Corte Suprema) che fece dimettere l’allora ministro della Difesa Ariel Sharon con questa motivazione: “Ariel Sharon fu responsabile di aver ignorato il pericolo di strage e di vendetta quando diede il permesso ai falangisti di entrare nei campi, ed è anche responsabile di non aver agito per impedire la strage… la nostra conclusione è che il ministro della Difesa è personalmente responsabile”. Qualcuno può credere che cose come queste vengano facilmente dimenticate?
       E infatti: tra il 2006 e oggi sono stato in Libano due volte, e se c’è una cosa che accomuna sciiti, sunniti e cristiani è proprio l’odio per Israele. Il 24 maggio, identificato come giorno del ritiro di Israele nel 2000, è festa nazionale in Libano ed è ricordato con toni che inneggiano a Hezbollah come principale artefice della “resistenza”. Una settimana fa, ad accogliere il terrorista Samir Kuntar liberato da Israele in cambio dei corpi dei due soldati Goldwasser e Regev, c’era il premier libanese Fouad Sinora, musulmano sunnita e tutto tranne che amico di Hezbollah.
       Che cosa sia e che cosa abbia fatto Hezbollah, lo sappiamo bene. Quanto difficile e pericolosa sia la pur legittima esistenza dello Stato di Israele, è chiaro a tutti. Come sia necessario vigilare sempre perché essa non sia messa in discussione e tantomeno in pericolo, è evidente. Ma che al ministero degli Esteri di Israele siano tutti dei geni, beh, questo è un altro discorso.
  
 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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