EX TERRORISTI AL GOVERNO: E’ GIUSTO?

      A NESSUNO CHE ABBIA PRATICATO LA LOTTA POLITICA ARMATA, E CHE ABBIA UCCISO PER ESSA, DOVREBBE ESSERE PERMESSO DI ASSUMERE CARICHE PUBBLICHE DI QUALUNQUE GENERE.
      Ho voluto scriverlo subito, a tutte maiuscole, perché fosse chiaro fin dal principio come la penso, prima di affrontare un tema complesso e doloroso. Mi è venuto di parlarne vedendo sui giornali la notizia che Martin McGuiness, 58 anni, ex comandante militare dell’Ira (Irish Republican Army) farà da consulente per la pacificazione dell’Iraq. La sua missione è stata finanziata da un miliardario americano che dev’essersi detto: chi potrebbe dare certi consigli meglio di un ex terrorista che organizzava attentati contro l’esercito inglese e la polizia, che col tempo si è pentito, è diventato promotore di colloqui di pace e ora è nientemeno che il vicepremier dell’Irlanda del Nord?
      Certo, so anch’io che le persone cambiano, possono ravvedersi anche dopo i crimini più efferati e scoprire dimensioni spirituali nuove e costruttive. Ma resto comunque della mia idea: niente incarichi pubblici per chi ha praticato la violenza politica. Le ragioni del mio atteggiamento sono molte e varie. Una, per esempio, è questa: ma perché queste persone, una volta ritornate sulla retta via, hanno così spesso bisogno di restare sotto i riflettori della politica? Hanno finalmente capito che la via della pace è meglio? Benissimo. Allora la percorrano con un minimo di discrezione, che so, assistendo handicappati, aiutando poveri, collaborando alle missioni. Sono infiniti i modi discreti in cui una persona in gamba può aiutare la causa della pace.
      Ma la ragione prima (almeno, la “mia” ragione prima) è questa: uccidere, togliere la vita, deve restare un tabù, un divieto rigido e totale. Per favore, non fatemi la predica sul diritto a difendersi. Il Catechismo lo conosco ed è chiaro a tutti che una nazione, una comunità, una famiglia, una persona aggredita deve poter reagire. Qui si parla di chi colpisce per affermare un’idea (o un regime o un governo) e il discorso è del tutto diverso.
      “Non uccidere” deve restare così (cioè “non uccidere” e basta, senza sofismi) perché qualunque breccia in questo muro introduce, in realtà, la libertà di uccidere, il diritto a uccidere. Non ci credete? Ok, allora vediamo qualche caso. In Italia, non molto tempo fa, sono state sollevate forti polemiche sulla figura di Sergio D’Elia, ex dirigente di Prima Linea, condannato a 30 anni di carcere (poi ridotti a 25, scontati 12 grazie alle norme sulla dissociazione dal terrorismo) per banda armata e concorso in omicidio. D’Elia, politico della Rosa nel Pugno, diventa deputato nelle elezioni del 2006 e poi segretario alla presidenza della Camera: dall’importanza dell’incarico le polemiche, soprattutto da destra, di cui si diceva. Un’altra polemica tipica di ambienti di destra è quella sull’attentato di Via Rasella a Roma: il 23 marzo del 1944 i partigiani fecero saltare una bomba al passaggio del battaglione di polizia militare Bozen, uccidendo 32 soldati. All’attentato, che da destra molti considerano un’inutile strage di riservisti, seguì il giorno dopo l’orrenda rappresaglia delle Fosse Ardeatine, con 335 persone fucilate dai tedeschi.
       Ho fatto a bella posta questi casi, così clamorosamente diversi tra loro. E adesso ne faccio un altro, lontano da noi nel tempo e nel luogo, che in qualche modo li riassume a spiega il mio pensiero. Siamo a Gerusalemme, è il 22 luglio 1946. L’Hotel King David, nel cuore della città, è in parte requisito come quartier generale degli inglesi, che da quasi 25 anni operano in Palestina come potenza mandataria. Quel giorno un gruppo di terroristi dell’Irgun (che Ben Gurion, primo presidente di Israele, metterà fuori legge già nel 1948), fingendosi operai arabi, portano nell’albergo 350 chili di esplosivo e li fanno saltare. Muoiono 28 inglesi, 41 arabi, 17 ebrei e 5 stranieri. Il comandante dell’Irgun, in quel periodo, è Menachem Begin, che ha peraltro alle spalle una nutrita serie di omicidi politici e attentati terroristici. Secondo alcuni, sarà poi proprio Begin a dirigere anche il massacro di Deir Yassin, il villaggio palestinese in cui furono uccisi 120 civili palestinesi. Begin poi fa carriera in politica e dal 1977 al 1983 è primo ministro di Israele. Begin è anche il premier che licenzia il ministro della Difesa Ariel Sharon dopo le stragi di Sabra e Chatila in Libano, ed è l’uomo che firma gli accordi di Camp David con Jimmy Carter e Anwar al Sadat.
      Mi sono dilungato sulle azioni di Begin per non far torto al personaggio, per non essere accusato di parzialità e perché fosse chiaro quanto variegata sia stata la sua figura. Una cosa resta chiara: non v’è dubbio che Begin in gioventù abbia praticato il terrorismo e l’omicidio politico, solo in parte con la giustificazione della “difesa”. In un’ottica di sinistra Begin sarebbe indifendibile, mentre la destra, israeliana e non, lo esalta. Begin uccideva per far nascere lo Stato ebraico, d’accordo. Ma anche i terroristi di Prima Linea e del terrorismo “rosso” uccidevano convinti di dar vita a una società nuova. E poi, perché i partigiani di Via Rasella, che pure combattevano contro un invasore (sarebbe il famoso caso del “diritto a difendersi”, o no?), possono essere criticati e Begin, che combatteva per uno Stato che non esisteva, deve invece essere celebrato?
      Si può andare avanti così, per ragionamenti e paradossi, per una settimana intera, senza cavare un ragno dal buco. Perché alla fine, infranto il tabù dell’omicidio, ciò che resta è una semplice, brutale considerazione: il mio omicidio politico è lotta per la libertà, il tuo è terrorismo. Da qualunque punto di vista si osservi la questione, finisce sempre e solo così. E infatti il mondo è stato ed è pieno di gente che rivendica per sé il diritto a distribuire la morte e lo nega agli altri. Se il capo dell’ala militare di Hezbollah diventasse primo ministro del Libano, e magari lo governasse pure bene, che cosa diremmo? L’unica soluzione è quella che ho esposto nelle prime righe: nessun incarico pubblico a chi ha praticato il terrorismo.
 

Elia era difesa da sinistra e attaccato da destra. I partigiani di via Rasella anche. 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top