L’orrore e la giusta preoccupazione per il gesto del palestinese che a Gerusalemme ha ucciso 3 persone investendo le loro auto con un bulldozer, non deve farci perdere la lucidità nel giudicare quanto accade in Medio Oriente. Hissam Tayassir Dawiat non risultava affiliato ad alcun gruppo estremista, aveva precedenti penali, aveva un passato di problemi di droga, era separato dalla moglie (una russa). D’altra parte aveva un lavoro presso un’azienda israeliana e una carta d’identità di Israele che gli consentiva piena libertà di movimento: condizioni difficilmente compatibili con una qualunque forma di militanza politica filo-palestinese. Il gesto folle di un folle, ecco di che cosa si tratta. E dobbiamo sperare che la giusta indignazione non si trasformi in una reazione esagerata o indiscriminata, che fornirebbe ulteriori “munizioni” (retoriche e non solo) agli estremisti che osservano con preoccupazione l’evolvere della situazione.
In questa fase, la politica estera di Israele è ispirata da grande pragmatismo. Non a caso sono caduti uno dopo l’altro molti tabù tradizionali e sono state aperte trattative ufficiali con Hamas (tregua con Gaza, mediazione dell’Egitto), con la Siria (per le alture del Golan, mediazione della Turchia), con Hezbollah (per lo scambio salme dei soldati – prigionieri libenaesi, mediazione della Germania), con le autorità palestinesi della Cisgiordania (per una riduzione dei check-point, mediazione degli Usa). Una politica movimentista che non mette a rischio il Paese (proprio l’attentato col bulldozer in Jaffa Road dimostra che è semplicemente impossibile garantire l’inattaccabilità di Israele), non compromette la solida alleanza politica e cooperazione militare con gli Usa e provoca invece più d’una difficoltà agli avversari.
Si spiega anche così la decisione del regime iraniano di sollevare il presidente Mahmud Ahmadinejad dalla gestione del “dossier nucleare” per riportarlo nelle mani dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema, la più alta autorità prevista dalla Costituzione. In questa fase Teheran è del tutto isolata rispetto al resto del Medio Oriente, inchiodata a una posizione marginale dalla propria rigidità diplomatica. Non a caso George Bush, dalla Casa Bianca, subito dopo la decisione di Ali Khamenei, ha ribadito che “tutte le opzioni restano sul tavolo” ma che la prima delle opzioni è “la trattativa diplomatica multilaterale”.
Non so se siano segnali di disgelo, forse è troppo presto per essere tanto ottimisti. Sono di sicuro segnali del fatto che qualcosa sta cambiando e che le tensioni dei mesi e degli anni scorsi sono state almeno un poco imbrigliate.
Per la figura e le posizioni di Ali Khamenei: http://www.leader.ir/