CARESTIA? NO, GLOBALIZZAZIONE COL TRUCCO

    Purtroppo il delirio politico di Mahmud Ahmadinejad si è portato via quasi tutta l’attenzione intorno al vertice organizzato a Roma dalla Fao. Conviene così ripassare alcuni dati: 850 milioni di persone già oggi non hanno di che sfamarsi, e presto saranno 100 milioni (Ban Ki-Moon, segretario generale della Nato); in Europa l’aumento medio del prezzo dei generi alimentari è del 7,1% (Coldiretti); a oltre 2 miliardi di persone la spesa alimentare consuma il 70% del reddito (contro il 10-20% nei Paesi sviluppati), quindi basta un nulla perché dal “rischio fame” precipitino nella fame vera (Jacques Diouf, direttore generale Fao); vivono, o meglio sopravvivono, nel mondo 178 milioni di bambini malnutriti (Medici senza Frontiere).
     Ho affastellato queste cifre anche per sottolineare le parole di Benedetto XVI: “La fame e la malnutrizione sono inaccettabili”, ha detto il Papa al vertice Fao, “in un mondo che dispone di livelli di produzione, di risorse e di conoscenze sufficienti”. Perché non si capisce nulla della crisi mondiale del cibo se non si parte da un presupposto: questa è la crisi dell’abbondanza, non della povertà. E infatti: non uno dei 37 Paesi censiti dalla Fao durante la fase più acuta dell’emergenza era un Paese colpito in passato da carestie di un certo rilievo. La prova del nove? Eccola: negli Usa la benzina costa circa 4 dollari a gallone (pari a 3,79 litri), cioè circa 70 centesimi di euro al litro. Ma perché la benzina dovrebbe costare assai meno di una lattina di bibita gasata? Comunque meno di un litro di latte, di un cono gelato, di un caffè al bar?
      In altre parole, la crisi alimentare mondiale è in gran parte un problema nostro che si scarica… dove può, comunque sugli altri. Qualche esempio? Nel 2001 i produttori americani di cotone ottennero dal loro Governo sussidi per 3,6 miliardi di dollari, pari a 3 volte gli aiuti Usa all’intera Africa. Forti di quel “minimo garantito”, i cotonieri americani aumentarono le esportazioni, facendo cadere il prezzo mondiale del cotone del 25% e mettendo sul lastrico una parte degli 11 milioni di africani che appunto vivevano della coltura del cotone. Nello stesso periodo i sussidi governativi erano pari al 48% del valore di tutta la produzione agricola negli Usa e al 46% in Europa. Nel 2006, secondo l’ong inglese Oxfam, i Paesi sviluppati hanno regalato ai loro contadini sussidi per 125 miliardi di dollari, contro solo 4 miliardi di aiuti offerti all’agricoltura dei Paesi in via di sviluppo. Come usare il cannone contro un avversario che dispone sì e no di un bastone.
      Ed è proprio qui, in questa globalizzazione col trucco, il nodo cruciale. Le agricolture protette dei Paesi ricchi da un lato tengono alti i prezzi al consumo (e prestano il fianco alle manovre speculative delle varie Borse che, stando alla Coldiretti, hanno bruciato in pochi mesi 60 miliardi di euro solo manovrando sul prezzo del grano), dall’altro impediscono il decollo delle agricolture dei Paesi poveri. E bene ha fatto Sergio Marini, presidente appunto di Coldiretti, a invocare “politiche agricole regionali”. La stragrande maggioranza del cibo prodotto nel mondo (80-90%) viene da piccole aziende agricole a conduzione familiare o quasi. Il resto è l’industria, tanto più piccola rispetto al bisogno ma tanto più forte nei meccanismi (politica, trasporti, trasformazione delle materie prime, operazioni bancarie e speculazioni finanziarie) che oggi determinano la vita o la morte di un settore economico. Non c’è nulla da fare: la nascita di un più giusto mercato mondiale del cibo può avvenire solo attraverso la rinascita dei campi.

Pubblicato sull’ Eco di Bergamo il 4 giugno 2008     http://www.eco.bg.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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