Ah, gli esperti. Ecco una categoria che dà sempre soddisfazione. Li vedi pontificare alle tv o sui giornali, magari quelli che vendono quattro copie ma passano da superdritti, e ti consoli. Nel 2006 ho scritto molto per sostenere che l’invasione del Libano da parte di Israele, frutto di una provocazione di Hezbollah (un’incursione in territorio israeliano con la morte di 6 soldati e il rapimento di altri 2) ma condotta in modo ottuso, era un grave errore. Nel metodo e nel merito. Nel metodo: lanciare incursioni su tutto il Paese, distruggere o danneggiare quasi tutte le infrastrutture del Libano, uccidere un migliaio di civili libanesi, voleva dire colpire un Paese e non gli autori della provocazione. Nel merito: colpire il Libano significava in realtà rafforzare il vero nemico, cioè Hezbollah.
A farla da padrone, però, fu anche allora la casta degli esperti. Tutti belli in fila, sulle prime pagine e nei talk show, a dire che Israele aveva “il diritto di difendersi”, curiosa metafora per dire che Israele aveva diritto a fare ciò che gli pareva. Nemmeno uno di loro, che pure si fregiano della nomea di “amico di Israele” come i nostri nonni si fregiavano della croce da cavaliere, che avesse quel minimo di lucidità da chiedersi: ma tutto questo converrà a Israele?
Bene. Son passati due anni, qualche esperto ha scritto un altro libro, qualche suo collega è finito in Parlamento. E che cosa succede in Medio Oriente? Ehud Olmert, primo ministro di Israele e gran promotore della guerra in Libano, vive da due anni una situazione di precariato politico proprio a causa dell’infelice esito di quella guerra. In questi giorni, poi, è sull’orlo delle dimissioni (chieste, peraltro, sia dalla sua compagna di partito e ministro degli Esteri Tsipi Livni sia dal leader dei laburisti e ministro della Difesa Ehud Barak) per un’inchiesta che gli attribuisce l’illecita gestione dei fondi elettorali generosamente concessi da un miliardario ebreo americano.
Guardiamo invece al Libano. Con un abile colpo di mano, Hezbollah è riuscito a forzare lo stallo (che lo stesso movimento sciita aveva creato nel novembre 2006, facendo uscire i propri ministri dal Governo pochi mesi dopo la fine della guerra con Israele) e a ottenere gli Accordi di Doha, che gli garantiscono più potere e 11 ministri su 30. Si sente tanto sicuro, Hezbollah, che ha accettato la decisione del neo presidente Suleiman di affidare l’incarico di formare il nuovo Governo al vecchio premier sunnita Fouad Siniora. Hezbollah in cattedra, Olmert nella polvere: bel colpo, esperti!