COSI’ L’EUROPA SFIDA GAZPROM

   D’accordo, il petrolio è a 130 dollari il barile ma l’estate è vicina e i problemi del riscaldamento sembrano lontani. Non lo sono, però, per l’Unione Europea né per le grandi “sorelle” continentali dell’energia, impegnate in una lotta delle cui conseguenze sentiremo presto parlare.

   In poche parole: la Ue sta lavorando a una normativa che impedisca a una sola compagnia di gestire l’intera filiera del gas naturale, cioè di estrarlo, trasportarlo e distribuirlo. Nel mirino dell’Unione c’è soprattutto Gazprom, il colosso di Stato russo, la terza azienda del mondo per capitalizzazione, che negli ultimi anni si è garantito la possibilità di distribuire al dettaglio anche in Europa (e anche in Italia), completando così la suddetta filiera, visto che i gasdotti che uniscono la Russia all’Europa sono di proprietà di Transneft (società monopolista dello Stato russo) o della stessa Gazprom.

    Sul lato opposto della barricata ovviamente Gazprom, spalleggiata però da Eni, Ruhrgas e Wintershall (Germania), Gaz de France. Tutte queste aziende hanno siglato con Gazprom (e cioè con lo Stato russo) accordi di lungo periodo per forniture di gas e diritti di esplorazione in territorio russo, in cambio appunto della possibilità per Gazprom di distribuire il proprio gas al dettaglio in Europa. Uno scambio ghiotto per entrambe: sicurezza energetica per noi, denaro fresco per loro, visto che la Russia fornisce all’Europa dal 25 al 30% del gas che questa consuma. Un bel meccanismo, che promette ottimi guadagni nel prossimo futuro (la domanda di gas naturale in Europa dovrebbe crescere dell’1,3-1,5% l’anno almeno per i prossimi vent’anni) ma necessita di investimenti altrettanto importanti: più di 4 trilioni tra il 2006 e il 2030, secondo i calcoli di Jean-Marie Dauger, vice-presidente di Gaz de France.

   Ci si potrebbe domandare, a questo punto, perché l’Unione Europea cerchi con tanta ostinazione di mandare a monte un così bell’affare. Le ragioni addotte in prima battuta sono facili da immaginare: lottare contro i monopoli, impedire che il patto di sangue tra grandi aziende petrolifere e del gas finisca per dettare l’agenda alle istituzioni politiche, ecc. ecc.

    Ma la ragione più vera e profonda è quella che viene solo mormorata a mezza bocca. E cioè, il timore che la Russia possa presto non farcela più a sorreggere il consumo interno e insieme a garantire l’attuale livello di esportazione del gas. L’estrazione di gas non cresce ormai da alcuni anni, anche a causa di un “parco tecnologico” che i russi non riescono a rinnovare al ritmo necessario, e i maggiori campi estrattivi della Siberia hanno chiaramente già dato il meglio di sé. A Bruxelles, dunque, c’è chi si chiede se sia il caso di lasciar impiantare in Europa un colosso come Gazprom che potrebbe presto smettere di produrre uova d’oro sotto forma di gas.

Per il colosso russo del gas: http://www.gazprom.com 

 

 

   

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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