TANTO CIBO, TROPPA FAME

 

     E’ in crisi, lo abbiamo detto mille volte. Ha dei leader che non sempre brillano per audacia e creatività, e anche questo è noto. Ma in certi momenti e su certi problemi tocca sempre all’Onu battere il primo colpo di una vera azione collettiva. E’ successo di nuovo proprio nei giorni scorsi, quando Ban Ki Moon, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha annunciato un piano d’azione per affrontare su un piano globale l’emergenza-cibo che nei soli ultimi due anni ha respinto 100 milioni di persone nella povertà totale (ovvero, vivere con 1 dollaro al giorno) da cui si erano con lunghi e faticosi sforzi sollevate. Questo dopo settimane in cui tutti i Paesi interessati, dagli Usa che razionano il riso nei supermarket ai produttori come l’India che ne bloccano l’esportazione, dall’Egitto degli assalti ai forni respinti dall’esercito alla Russia del blocco dei prezzi dei generi di prima necessità, sembravano decisi a correre ognuno per sé. Come se questo, tra l’altro, fosse ancora possibile in un mondo in cui le frontiere economiche sono ormai quasi solo un ricordo.

     Il piano dell’Onu fa ben sperare proprio perché non promette miracoli ma chiede (e non auspica) una presa di coscienza politica che comporta sacrifici. Non quelli dell’intervento d’urgenza, i 755 milioni di dollari da investire nel Programma alimentare mondiale per scongiurare una carestia planetaria. E nemmeno i quasi 2 miliardi di dollari che bisognerà trovare per consentire alla Fao (l’agenzia dell’Onu per il Cibo e l’Agricoltura) di stimolare la reale messa a profitto dei campi nei Paesi in via di sviluppo. Tutto questo è solo denaro, basterà aprire il portafogli. Bisognerà invece aprire la mente e la coscienza quando, come prevede la terza fase del Piano, l’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) dovrà ridiscutere le regole in merito soprattutto ai sussidi che i Paesi sviluppati (Europa e Usa per primi) concedono con larghezza agli agricoltori, impedendo il decollo di altre aree del pianeta e relegando le loro popolazioni nella povertà permanente. 

     Ban Ki Moon ha ricordato che già oggi, quando cioè la portata di questa crisi non è stata fino in fondo misurata, 3 milioni e mezzo di bambini l’anno muoiono di fame. Ed è giusto ricordarlo per una questione morale ma anche per una questione economica. La crisi ha colpito sessanta Paesi ma nessuno di essi è noto per le sue carestie. In altre parole: il cibo c’è, sono le distorsioni del mercato, le bizzarrie del clima (per esempio la siccità che ha colpito l’Australia, che produce il 16% di tutto il grano del mondo), le speculazioni e l’impiego sempre più massiccio di cereali per biocarburanti a renderlo una merce meno libera e disponibile. Il che, da un certo punto di vista, può consolare: si può rimediare, ma bisogna volerlo fare e saperlo fare in fretta.

     Dei propositi dell’Onu lascia semmai perplessi la folla di organizzazioni, ben 27, a cui essi vengono affidati. E’ una questione da non sottovalutare, come insegna uno studio realizzato da Homi Karas e Abdul Malik per la Brookings Institution. Intanto nel 2007, per la prima volta in 10 anni, gli aiuti allo sviluppo sono diminuiti, fermandosi a 103,7 miliardi di dollari. Di questi 103,7 miliardi, solo 48 sono andati in piani di sviluppo strutturali; di questi 48 miliardi, solo la metà è arrivata alle popolazioni, il resto si è “disperso” (eufemismo) per via. In più, gli aiuti sono troppo frammentati: nel 1997 il finanziamento medio per progetto era di 2,5 milioni di dollari, nel 2004 di 1,5. In sintesi: troppi piccoli donatori e troppe agenzie che lottano per i fondi. Speriamo che la gravità della situazione induca a una migliore e più seria divisione dei ruoli.   

 

Pubblicato su Avvenire del 30 aprile 2008     http://www.avvenire.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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