Tre anni di battaglie legali, un risarcimento simbolico (45 mila euro) ma una vittoria storica. Il risultato dell’epico scontro tra i Rocher Ferrero italiani e i Montresor d’Or cinesi non a caso ha fatto il giro del mondo: il fatto che l’azienda italiana con sede ad Alba (Cn) sia riuscita ad affermare presso un tribunale della Cina l’originalità dei propri prodotti e a fermare l’attività dell’azienda cinese che dal 1980 commercializzava una pessima (dal punto di vista della qualità) ma accurata (dal punto di vista dell’aspetto) imitazione dei Rocher ha segnato una svolta nel commercio internazionale, fin qui incapace di mettere un freno all’abitudine tutta cinese di copiare le idee e le invenzioni altrui. Una piaga particolarmente dolorosa per l’Italia perché, come ha sottolineato Giovanni Ferrero, presidente dell’azienda omonima, “l’86% dei prodotti contraffatti venduti in Europa e provenienti dalla Cina sono copie di marchi italiani”.
Resi i dovuti onori alla tenacia della Ferrero, e ipotizzato dopo la clamorosa sentenza un atteggiamento politicamente più responsabile della Cina sul fronte del commercio internazionale e delle relazioni con gli altri Paesi, resta da sottolineare un aspetto invece sfuggito ai più. Anche al proprio interno, infatti, la Cina, nel tentativo di mettere ordine nell’impetuoso boom economico, ha cominciato a difendere l’originalità dei marchi e il diritto d’autore. Le leggi in proposito furono promulgate solo nel 1985, perché nel lungo periodo maoista la proprietà privata (e, ovviamente, la sua difesa) era considerata alla stregua di un furto di beni appartenenti alle masse e alla collettività. Quelle leggi, inoltre, hanno cominciato a essere applicate solo dopo il 2001 e in maniera timida e sporadica.
Le cose sono cambiate negli ultimi tempi. Nel 2007 erano 850 mila i marchi originali registrati di aziende cinesi, rispetto ai 180 mila del 2003. Com’è ovvio sono cresciute in proporzione le occasioni di litigio: 17.500 le cause in corso nel 2007 tra aziende cinesi, e sono ormai 50 i tribunali che trattano esclusivamente cause legate a problemi di marchio e di proprietà intellettuale. La morale di questa storia è semplice: sarà il benessere, e non i dazi a rendere la Cina più osservante di certe norme. Perché per difendere il proprio sarà costretta a rispettare il nostro.
Per l’Ufficio sulla Proprietà Intellettuale della Cina: http://www.ipmenu.com/country/china.htm