IRAQ, CHI ERA COSTUI?

   Qualche notizia dall’Iraq. Uno: più di 5 mila persone manifestano a Bassora, la grande «capitale» sciita del Sud, contro le autorità regionali che non riescono a garantire la sicurezza. Omicidi e rapimenti si susseguono, anche come conseguenza della lotta di potere tra le diverse fazioni sciite (Bassora è al centro dei campi petroliferi che garantiscono il 70% del petrolio iracheno e controlla gli unici porti commerciali del Paese), scatenate dopo che le truppe inglesi si sono ritirate dalla città. Particolarmente drammatica è la situazione delle donne: secondo fonti locali, più di 100 donne sono state uccise nel solo 2007. Due: a Baghdad un attentato ha ucciso più di 50 persone. Tre: a Mosul, monsignor Paulus Farajl Rahho, arcivescovo caldeo della città, è sempre prigioniero dei rapitori che per sequestrarlo uccisero tre persone (l’autista e le guardie del corpo del prelato) e che adesso chiedono una somma che la Chiesa non può pagare. Tre: appena fuori Baquba, città a 60 chilometri a Nord di Baghdad, le truppe americane hanno scoperto una fossa comune con più di 100 corpi.
   Di tutto questo, cenni sporadici sui media italiani. I giornali cattolici si sono occupati di monsignor Rahho, gli altri hanno messo la strage di Baghdad nelle brevi. Di Bassora nulla: per saperne di più, ci vuole l’americana Cnn o l’Osservatorio Iraq. Perché? D’accordo, abbiamo la campagna elettorale, Berlusconi e Veltroni e compagnia bella. Ma basta a spiegare la totale indifferenza per le vicende irachene? No, perché questo è l’esito finale di un lungo processo di rimozione cominciato quando, dopo la lunga campagna di frottole e vere scemenze orchestrata dalle fonti governative Usa e volentieri ripresa dai giornali italiani affiliati al centro-destra, si è fatta avanti l’inoppugnabile verità: mal concepita e mal gestita, la campagna anglo-americana in Iraq si è impantanata nella terra di nessuno che sta tra la vittoria militare e la sconfitta politica. Da lì, inglesi e americani non riescono a schiodarsi. Gli Usa spendono 1 miliardo di dollari al giorno per le truppe in Iraq e questi sono i risultati: la ricostruzione è ancora un miraggio, la violenza è ridotta ma tutt’altro che eliminata e, soprattutto, l’idea di riportare a casa, anche parzialmente, i soldati è rinviata a chissà quando.
L’imbarazzo dei presunti esperti è diventato di settimana in settimana insostenibile. Il loro eroe è il generale David Petraeus: dotato di 20 mila soldati in più, e soprattutto della silente accettazione americana degli sconvolgimenti intervenuti in Iraq (ormai diviso in tre Stati a base etnico-religiosa, con metà dei cristiani costretti a fuggire all’estero, Baghdad tramutata per la prima volta in mille anni in una capitale quasi totalmente sciita e il Kurdistan in guerra con la Turchia), Petraeus ha in effetti ridotto il numero degli attentati. Occasione perfetta per gli «editorialisti», che dopo aver pontificato per anni sulla convenienza della guerra in Iraq hanno potuto approfittare della tregua per ritirarsi in buon ordine a pontificare su altri argomenti.
   In Iraq, intanto, si continua a morire. E tutta la retorica del filoamericanismo «senza se e senza ma», quasi più pericoloso del suo rumoroso fratellino, l’antiamericanismo «senza se e senza ma», sprofonda nel ridicolo dopo la visita in Iraq di Mahmud Ahmadinejad, presidente dell’Iran che vuol costruirsi la bomba atomica, protegge i terroristi di Hamas ed è considerato dagli Usa il vero organizzatore degli attentati in Iraq. Ahmadinejad è stato il primo capo di Stato del Medio Oriente a recarsi in visita ufficiale in Iraq. Già questo sarebbe motivo di meditazione. Ma c’è altro: Ahmadinejad è stato accolto con grande calore, è arrivato a Baghdad dall’aeroporto in pieno giorno mentre George Bush quando si reca in Iraq deve circondarsi del massimo segreto, ha avuto incontri anche fuori dalla Zona Verde in cui sono asserragliati i diplomatici e i funzionari americani. Il tutto sotto gli occhi sgranati di 25 mila soldati americani. Aspettiamo, anche su questo, il parere degli esperti.

www.cnn.com
www.osservatorioiraq.it
www.avvenire.it
www.famigliacristiana.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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