LA RUSSIA AL VOTO: PARLA VAKSBERG

Dunque Garry Kasparov fa bene a rifiutare il cibo del carcere?
“Mi pare che ora esageri nella valutazione del rischio. E’ difficile che provino ad avvelenarlo proprio mentre sconta cinque giorni di carcere in pratica sotto gli occhi del mondo. In prigione può dirsi al sicuro. Ma quando uscirà, farà bene a mantenere le misure di sicurezza che già prende: non vola mai con l’Aeroflot, non consuma cibi o bevande in arrivo dalla Russia, non frequenta ristoranti russi, e così via”.
Dura la vita degli oppositori politici in Russia. Un mestiere più che usurante, spesso letale. Lo sa bene Arkadi Vaksberg, giurista e storico, autore di molteplici studi sull’epoca sovietica e di questo I veleni del Cremlino (appena pubblicato da Guerini e Associati) dal sottotitolo fulminante: Gli omicidi politici in Russia da Lenin a Putin. Vaksberg fa partire il suo racconto, appassionante e ricco di particolari storici e curiosità dai prodromi della rivoluzione d’Ottobre e lo arresta solo con le morti di Anna Politkovskaja e di Aleksandr Litvinenko. “Un lungo elenco”, dice Vaksberg, “che sarebbe stato però lunghissimo se non mi fossi limitato agli omicidi più tipici e a quelli che hanno destato la maggiore emozione”. Al di là dei fatti, clamorosa è la tesi: “Questa teoria (Trockij in Terrorismo e comunismo: “La forma e la portata della repressione non è una questione di principio. E’ unicamente una questione di utilità”, n.d.r) venne espressa nel 1920”, leggiamo nel libro: “Nello stesso periodo furono gettate le basi di quello Stato, la cui eredità Putin non può e non vuole abbandonare”. Aggiunge Vaksberg, che vive tra Parigi, dove lo abbiamo raggiunto, a Mosca, dove ora torna per seguire le elezioni politiche: “Da allora sono cambiati gli uomini e i metodi, non il principio. Il Laboratorio dei veleni fu fondato per ordine di Lenin con l’ordine preciso di inventare sistemi sempre nuovi, perché ogni delitto non somigliasse a nessun altro e fosse così difficile risalire ai mandanti e persino agli esecutori. Un esempio recente: i medici scoprirono il polonio solo il giorno prima che Litvinenko morisse, nessuno aveva idea che potesse essere usato come veleno. Il principio resta, la tecnica cambia”.
Secondo lei, quindi, Vladimir Putin è un erede diretto dei leader sovietici…
“Divido, se permette, la risposta in due. Prima parte: sono un giurista, so che non si possono imputare reati concreti a persone reali senza avere prove da esibire. E dunque non posso accusare Putin degli omicidi degli ultimi anni. Posso anche sembrare cinico, e questa è la seconda parte della risposta, ma per un ricercatore non è importante chi dà l’ordine di uccidere (questo è affare dei giudici e del tribunale) ma come agisce il sistema che sceglie di eliminare gli avversari piuttosto che confrontarsi con essi in modo civile e democratico. Qualche giorno prima di queste pseudoelezioni, Putin ha detto apertamente che chi non appoggia il Cremlino è un nemico. Questo è il tratto tipico di una visione del mondo stalinista”.
Un “nemico del popolo” può sempre servire…
“Esatto. Ma attenzione: fino a poco tempo fa, i nemici erano all’estero. Gli americani, gli europei, i servizi segreti inglesi… Adesso sono spuntati nemici anche dentro la Russia. Ed è nemico, appunto, chi non è d’accordo. Che male c’è se Kasparov marcia attraverso Mosca con una piccola folla di sostenitori per consegnare una petizione all’Ufficio elettorale centrale? In un Paese normale, il potere non gli bada nemmeno. Il Cremlino no, prende misure durissime e si attira l’attenzione del mondo intero. E’ un segnale di debolezza e di ostilità alla democrazia”.
Come definirebbe l’attuale sistema politico russo?
“Una dittatura no, perché mancano alcuni tratti tipici delle dittature. La libertà di parola non è estinta, basta guardare su internet o sfogliare certi giornali e certi libri. E c’è la libertà di movimento, si può entrare e uscire dal Paese. Ma la tendenza all’autoritarismo emerge chiaramente dagli sforzi che il regime fa per evitare un confronto politico democratico e aperto”.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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