Proprio per questo, però, Trump ha bisogno del plebiscito. Non ne aveva bisogno nel 2016, da outsider della battaglia presidenziale (anzi, allora l’immagine super politica di Hillary Clinton giocò a suo favore) e nella sconfitta del 2020 (quando comunque guadagnò voti rispetto al 2016) si è inventato la carta del complotto pro Biden. Ma oggi sì. Per questo vincere non gli basta: deve eliminare persino l’ipotesi di un avversario. Anche perché Biden, che invece è il tipico prodotto dell’aristocrazia del Partito democratico, corre da solo, tanto che vince le primarie anche in Stati dove nemmeno si è candidato. Biden, di fatto, può solo autoeliminarsi: perché non ce la fa più (i suoi 80 anni, in quel ruolo e con quell’esposizione, si notano di più) o perché i vertici del partito, primi fra tutti i clan Obama e Clinton, timorosi di una sconfitta, decideranno di mandare avanti un altro candidato. Se la situazione sembrasse disperata (ma non si vede perché) anche un giovane che potrebbe bruciarsi senza troppo danno per la causa. Per Trump, ottenere la nomination già in primavera vorrebbe anche dire risparmiare tempo, energie e soldi da concentrare nella battaglia finale.