La siria, la politica e i cristiani. Al Congresso degli Stati Uniti prosegue la discussione intorno al progetto di legge di Eliot Engels, rappresentante del Partito democratico eletto a New York, che vuole inasprire le sanzioni contro la Siria di Bashar al-Assad e, anzi, estenderle a tutti i Paesi che in qualche modo sostengono o intrattengono relazioni con essa, in primo luogo la Russia e l’Iran. La tesi di Engels è sempre quella: Assad ha stroncato nel sangue una rivoluzione pacifica ed è l’unico responsabile del tragico massacro che da più di sei anni si perpetua in Siria.
Tale progetto di legge ha ottenuto il voto favorevole della Camera ma non quello del Senato dove i repubblicani, impegnati attraverso la Casa Bianca a trovare un’intesa con la Russia, non sembrano intenzionati a mettere altra carne al fuoco del confronto internazionale.
L’aspetto più interessante dell’attuale discussione, però, è un altro. Sia i favorevoli al progetto di legge sia i contrari cercano ora di dimostrare che dalla loro parte sono schierati i cristiani di Siria. Engels e i “suoi” citano a ripetizione organizzazioni come Syrian Christians for Peace, Syria Campaign, Syrian American Council, Coalition for a Democratic Syria e Syria Emergency Task Force, che approvano l’idea (già tipica della politica di Barack Obama e Hillary Clinton) che sia necessario togliere di mezzo Assad per arrivare alla pace.
Per quanto sia rispettabile l’opinione di tutti, compresi coloro che della crisi siriana hanno una visione simile o uguale a quella di Engels, sarà meglio precisare che tutte queste organizzazioni hanno sede negli Usa, tranne la Syria Campaign che ha sede nel Regno Unito. È davvero possibile equiparare il loro parere a quello dei cristiani che vivono in Siria e che hanno attraversato da protagonisti e da vittime la lunghissima agonia del Paese?
Chiunque abbia un minimo di esperienza di Siria sa che i cristiani locali non sono schiacciati acriticamente sull’operato di Assad e del suo governo, tutt’altro. Ma sono anche fermamente convinti che se quelli fossero spazzati via, sarebbe la fine per loro e per un Paese che in ogni caso, nel bene e nel male, tra il 2003 e il 2006 accolse oltre 750 mila profughi dall’Iraq, tra i quali quasi 50 mila cristiani. Chi è più credibile, nel dare un parere? Un cristiano siriano che ha vissuto ad Aleppo i quattro anni della guerra combattuta in città o un cristiano siriano magari nato e cresciuto in California?
Intanto è sempre più chiara la via scelta dalla grande informazione occidentale nel risolvere questo dilemma. Per non correre il rischio di dover ascoltare un parere sgradito, ai cristiani della Siria viene data raramente la parola. Chiediamoci perché.
buona analisi