Qualche dato. Nel solo 2009, oltre 300 mila giovani hanno perso il posto di lavoro. Oggi, 2 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni (pari al 21,2% del totale, record europeo) non lavorano né studiano. Inoltre (dato 2009), il 58,6% dei giovani tra i 18 e i 34 anni (pari a 7 milioni di persone) vive in casa dei genitori. La disoccupazione giovanile, infine, sale rapidamente verso il 30% complessivo.
Qui, diciamolo subito, non si tratta di Prodi o Berlusconi. Però non veniamoci a dire che è colpa della crisi economica, perché invece questo è il risultato quasi inevitabile di tutte le sciocchezze che negli ultimi anni si sono dette sulla “flessibilità”, la “mobilità”, la “modernità” e tutte le altre “tà” che fanno colpo soprattutto sugli ingenui.
Il dato di fondo, se proprio vogliamo discutere, non è la crisi improvvisa degli ultimi due anni ma la mezza stagnazione dell’ultimo decennio. Quella che ha portato il Paese a crescere meno degli altri e gli italiani a percepire salari che, secondo tutte le rilevazioni, sono in media inferiori a quelli di tutti gli altri Paesi sviluppati. Quanto al fatto che, come si ripete spesso, l’Italia in questo periodo “resiste meglio degli altri”, è abbastanza facile capire il trucco: costi sociali scaricati sulle famiglie (vedi dati sopra) ed evasione fiscale a tutta birra, 30 miliardi l’anno di sola Iva per esempio (vedi recente relazione di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia), pari al 2% dell’intero Prodotto interno lordo.
Un sistema che consisteva nell’accumulare debiti sulle spalle delle generazioni future. L’improvvisa crisi finanziaria internazionale ha solo accelerato le scadenze. La “flessibilità” e tutti gli altri paroloni con l’accento in fondo sono serviti quasi solo a far ingoiare la fregatura ai giovani e alle loro famiglie. Intendiamoci: è ovvio che nessuno può più pretendere, come succedeva alla generazioni dei nostri padri, di trovare lavoro vicino a casa e svolgere più o meno la stessa attività per tutta la vita. Ripeto: ovvio. Ma voi conoscete un giovane che ancora lo creda possibile?
La verità è che si è spacciata per “modernità” una precarietà perenne, a totale discrezione dei datori di lavoro, come dimostra il fatto che, al momento della crisi, sono saltati per primi i lavori precari dei giovani. Che sono ormai diventati una massa di manovra, carne da cannone per gli uffici del personale: pagati pochissimo quando lavorano, ricattati con i soliti contratti “a progetto”, spediti a casa alla minima contrazione degli utili.
Secondo l’ultima rilevazione Istat, quasi il 50% dei 7 milioni di giovani che ancora vivono in casa dei genitori non riesce a farsi una casa propria per ragioni economiche, che vanno dalla mancanza di lavoro al costo degli affitti. Pensate voi come possono tentare di sposarsi o di metter su famiglia, o anche solo consumare una quantità sufficiente di beni per tenere in moto la macchina economica. Pensiamoci la prossima volta che qualcuno si presenterà in Tv a raccontarci che cinque o sei anni di contratto “a progetto” sono la modernità.