G20, I NO DELLA CINA, IL VUOTO RUSSO

Immagini dei diversi leader al G20

Da Eco di Bergamo – Quella di Vladimir Putin, ormai allenato a bigiare i consessi all’estero anche perché inseguito dal mandato di cattura spiccato dalla Corte penale dell’Aja, e soprattutto quella di XI Jinping, clamorosa anche perché il leader cinese è fresco reduce del summit dei Brics (22-24 agosto) svoltosi in Sudafrica. Difficile vedere in queste defezioni dal G20 un’azione combinata di Russia e Cina. La Russia ha mandato il ministro degli Esteri Lavrov, che parla come e per Putin ma non è Putin. Più interessante, invece, l’assenza del presidente cinese, sostituito dal primo ministro Li Qiang. Il G20 si tiene in India e, si sa, tra Cina e India non corre buonissimo sangue. I due Paesi sono oggettivamente rivali in Asia, ancor più da quando la Cina è entrata in una fase di turbolenza economica e l’India ha innestato il turbo dello sviluppo: il Pil da anni cresce sopra il 7% annuo, la disoccupazione è sotto il 10%, il reddito pro-capite è raddoppiato in dieci anni. E poi, simbolico o no, c’è un modulo lunare indiano che passeggia sulla Luna dove invece si è schiantato quello russo.

Ci sono però altre due ragioni che spiegano il gran rifiuto di Xi Jinping. La prima è che uno dei temi portanti di questo G20 era quello del cambiamento climatico. La Cina, soprattutto in questa congiuntura, è restia ad accettare impegni che possano appesantire la marcia del suo apparato industriale. Non è l’unica, tra le grandi economie che emettono l’80% dei gas a effetto serra, ma di certo è tra quelle che pesano di più. E infatti il G20 dei ministri del clima e dell’ambiente si è concluso con un aperto disaccordo sulle questioni più spinose, dal picco delle emissioni da raggiungere entro il 2025 al passaggio all’energia pulita alla tassa sul carbonio come strumento per ridurre le emissioni.

La seconda ragione sta nel ruolo dell’India, la padrona di casa che ha «usato» questo G20 anche per sottolineare il suo nuovo ruolo globale e le ambizioni che a esso si accompagnano. Lo dimostra la proposta del premier indiano Modi di allargare il G20 all’Unione africana, gettando così un ponte verso quel «Sud del mondo» diventato di colpo importante negli equilibri mondiali. Lo stesso Sud, però, a cui la Cina guarda da tempo e che ha cercato di fidelizzare con la politica di radicamento in Africa e le varie iniziative politico-commerciali dell’era Xi, dalla Nuova Via della Seta alla Collana di perle.

È chiaro, però, che certe assenze mandano comunque dei messaggi. E infatti questo G20 fatica a trovare una posizione comune non solo sul clima ma anche sull’invasione russa e sulla guerra che infuria ormai da un anno e mezzo. C’entra la Russia, ovvio, e in parte anche la Cina. Ma gioca la sua parte pure l’India, che già si era segnalata, alla vigilia, per il rifiuto a invitare al summit anche l’Ucraina. Lo si vede bene dal comunicato congiunto Usa-India rilasciato dopo l’incontro tra Modi e Joe Biden: si parla di tutto, e in termini cordiali, tranne che di Ucraina. Questo perché l’India non vuole farsi dettare l’agenda dai Paesi occidentali ma, al contrario, vuole definirne una che porti la sua firma, non rinnegando le vecchie alleanze ma piuttosto rimarcando la conquista di un più ampio margine di manovra, in questo caso tra gli Usa e la Russia, diventata ottima fonte di energia a prezzo di realizzo. Il protagonismo indiano, comprensibile per un Paese in così forte ascesa, ha i suoi costi. Da quando l’India ha assunto la presidenza del G20, nel dicembre 2022, nessuna delle diverse sezioni, dagli affari esteri all’economia, dall’energia al cambiamento climatico, si è chiusa con comunicato congiunto.

Vedremo invece se, dopo la missione del vice-premier e ministro degli Esteri Tajani in Cina, gli incontri di Giorgia Meloni con il premier cinese Li Qiang porteranno il frutto sperato, ovvero un distacco morbido dall’accordo sulla Nuova Via della Seta siglato nel marzo 2019 dal Governo Conte. Noi siamo pressati dagli Usa e dalla Ue, con cui non possiamo metterci in urto. La Cina sa che i nostri esportatori fatturano sempre di più dalle loro parti. Come finirà?

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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