Prima Joe Biden. Poi Recep Tayyep Erdogan. Per finire Xi Jinping. Mica male come battesimo del fuoco per la premier Giorgia Meloni, unica donna presente al massimo livello, come capo di un Governo, al G20 di Bali. Eppure l’incontro con le tre grandi volpi della politica internazionale era la forca caudina che prima o poi andava affrontata. Intanto, per provare a saltare le diffidenze più evidenti, cioè quelle che incontra in Europa, e costruire qualche buona sponda al primo Governo destra-destra dell’Italia repubblicana. E poi perché quei leader e quei Paesi rappresentano tre clamorose necessità. Gli Usa perché sono gli Usa, governare l’Italia senza di loro è complicato, contro di loro quasi impossibile. La Turchia perché è oggi l’attore più spregiudicato sul fronte di quel Mediterraneo che resta la culla del nostro Paese, la fonte di tante opportunità e di grandi problemi. Quello dei flussi migratori, per esempio, per fronteggiare il quale già Angela Merkel, a nome dell’Europa, si acconciò a trattare con Erdogan. La Cina perché il colosso asiatico è un decisivo partner commerciale, vale per noi circa 20 miliardi l’anno di esportazioni e va tenuto in conto.
Giorgia Meloni, insomma, ha iniziato al G20 di Bali un lungo slalom speciale. Anche se qualche circostanza esterna ha contribuito a spianarle un po’ la discesa. Intanto l’incontro tra Biden e Xi Jinping, lontanissimi sul tema di Taiwan ma concordi sulla necessità di allontanare il pericolo di uno scontro atomico in Ucraina. Una convergenza scontata, forse. Segnala però anche la comune volontà di calmare le acque della crisi globale, che non è nata con l’invasione russa del 24 febbraio ma che da essa è stata acuita ed esacerbata in modo drammatico. Una stretta di mano, quella tra i due presidenti al G20, di cui persino il Cremlino non potrà non tener conto.
Sempre sul quadrante ucraino, poi, è arrivato il bombardamento russo sull’Ucraina con la ricaduta sulla Polonia, che ha patito diverse vittime. Fin dall’inizio si poteva pensare a un errore di traiettoria (i missili russi sono stati lanciati anche da molto lontano, dal Mar Nero o addirittura dal Caspio) o a un incidente come quello che poi è risultato. Però è stato colpito un Paese della Nato e questo ha fatto scattare una serie di meccanismi preoccupanti, perché rischiavano di allargare il conflitto. Potevamo e dovevamo sperare che la Nato usasse saggezza e la Polonia, ferita alle spalle, non si facesse tentare da reazioni avventate. Poi è andata com’è andata. Ma resta il fatto che, mentre molti segnali davano per possibile un abbozzo di negoziato, Vladimir Putin ha dichiarato con 100 missili in un giorno che è lontano dal rinunciare ai suoi propositi.
Questo complica le cose al mondo ma forse le semplifica alla nostra premier. Da sempre schierata con l’Ucraina e la Nato, Meloni potrà usare l’inasprimento della crisi non solo per confermare la linea ma anche per contenere i distinguo che ogni tanto spuntano nella maggioranza. Da ieri, inoltre, il processo per mandare armi e aiuti a un’Ucraina che rischia di affrontare l’inverno al buio e al freddo sarà di certo più scorrevole.
È altrettanto chiaro, però, che l’Italia non può vivere di pacche sulle spalle. Il tema dell’immigrazione, e quindi il fronte turco, ha un valore più interno che esterno. Le posizioni dure (o presunte dure) intanto fanno guadagnare consenso al Governo, che poi vedrà quando e dove cedere all’Europa, come è sempre successo. Con Usa e Cina, ben al di là del G20, bisogna andare al sodo. Abbiamo bisogno che gli americani ci vendano a prezzi calmierati il loro gas liquido, dopo che abbiamo tagliato i ponti, o meglio i gasdotti, con la Russia. E se persino Macron si è lamentato (“Venderci il gas a un prezzo quadruplo rispetto al mercato interno non è un segno di amicizia da parte degli Usa”), vuol dire che l’impresa non è così agevole. Alla pragmatica Cina, invece, chiediamo in sostanza comprensione. Vogliamo continuare a fare affari con Pechino, senza però impegnarci a diventare un anello della Nuova Via della Seta che è nel cuore di Xi Jinping. Agli Usa e alla Cina offriamo in cambio la stessa cosa: agli uni il nostro peso strategico in Europa e nella Nato, all’altra la nostra centralità nel Mediterraneo e nella Ue. Un po’ spelacchiati entrambi, ma sempre importanti e preziosi.