Joe Biden in Arabia Saudita (il 15 luglio), Vladimir Putin in Iran (il 19 luglio) insieme con Recep Tayyip Erdogan. Gli avversari di sempre, Usa e Russia, e la strategia di sempre: legare il Medio Oriente alle proprie sorti, farne la retrovia e il supporto della propria politica. La cosa è tanto più evidente nella crisi generata dall’invasione russa e dalla guerra in Ucraina, che sempre più si trasforma in una guerra tra Russia e Usa combattuta attraverso l’Ucraina.
Una delle armi russe è l’energia, le manovre sull’andamento del prezzo di gas e petrolio, l’esportazione ridotta (o, come qualcuno teme, la mancata esportazione) di queste materie prime fondamentali per l’economia dei Paese sviluppati. Fino a questo momento, i Paesi del Medio Oriente sono stati beneficiati dalla natura particolare della crisi europea: Israele (dove Biden sosta prima di raggiungere il regno saudita) per le esportazioni di gas odierne e future; l’Arabia Saudita per quelle di petrolio; la Turchia come hub di gasdotti che possono fungere da alternativa a quelli che partono dalla Russia e attraversano il territorio ucraino; l’Iran per il gas e il petrolio. Il regime di prezzi in rialzo ha riempito le casse di principi, presidenti e primi ministri, mentre il peso, anche politico, di tali risorse ne ha fatto crescere l’importanza.
Ed ecco allora Biden e Putin accorrere a Riyadh e Teheran per stipulare patti e firmare accordi. Il fatto che le due visite siano quasi contemporanee non fa che aumentare la percezione della loro ansia. Biden si attacca alla guerra in Ucraina per frenare un tracollo politico che verrà probabilmente sancito dalle elezioni di metà mandato, in autunno, ma che era già avviato prima dell’invasione russa, quando il suo tasso di popolarità tra gli elettori non superava il 40 per cento, uno dei più bassi nella storia della presidenza Usa. Gli esperti del Fondo monetario internazionale prevedono per gli Usa una crescita poco sopra il 2% quest’anno, ma in calo all’1% nel 2023 (le dinamiche sono simili quasi ovunque: inflazione oltre il 15% in Polonia e oltre l’8% in Italia, prezzi dei generi alimentari su del 15% in un mese in Germania e del 10% nel Regno Unito). Dare la colpa alla «guerra di Putin» funziona in tivù, di fronte a una stampa compiacente, e ha sicuramente qualche fondamento, ma difficilmente basterà a placare i consumatori americani.
Putin, a sua volta, si è imbarcato in un’impresa demenziale in partenza, anche pensando alle sorti economiche della Russia, e che ora rischia di allungarsi senza fine. La visita in Iran gli serve anche per consolidare il Corridoio internazionale per i trasporti Nord-Sud (Instc, International North-South Transport Corridor), cioè la via di trasporto multimodale (nave, ferrovia e strada) che, attraverso India, Iran e Azerbaigian, dovrebbe consentire alla Russia di conservare uno sbocco importante sui mercati internazionali.
Sia Biden sia Putin, in un certo senso, soffrono di solitudine. Con gli Usa si è schierata l’Europa, insieme con Paesi come Giappone e Corea del Sud. Ma gran parte dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa, oltre che appunto del Medio Oriente, rifiuta il meccanismo delle sanzioni. Cosa di cui, però, la Russia può gioire solo in parte: pochi di questi Paesi, a cominciare dalla Cina e dai grandi Paesi mercantili asiatici, gradiscono la turbativa dei mercati internazionali che la guerra in Ucraina secondo alcuni ha causato, secondo molti ha pericolosamente aggravato.
La cosa più triste, in tutto questo, è che il discorso finisce sempre per comprendere uno scambio di armi. Biden arriva in Arabia Saudita promettendo di togliere il veto alla vendita ai sauditi di armi americane «offensive» (come se ci fosse una gran differenza tra queste e quelle «difensive»); Putin contratterà con gli iraniani la fornitura di droni da combattimento e con Erdogan intensità e dimensioni della spedizione turca contro i curdi nel nord della Siria. Il tutto mentre sia da parte russa sia da parte americana cresce l’allarme per le armi mandate dagli Usa e dai Paesi Ue in Ucraina e in parte già finite sul mercato nero mediorientale.