Dispersa, prima dalla guerra anglo-americana contro Saddam Hussein, poi dagli anni del terrorismo islamista, infine dall’invasione del sedicente Stato islamico (Isis) nel 2014. Umiliata nei numeri, visto che da 1 milione e 300 mila persone prima del 2003 si è ridotta alle attuali 300 mila. Minacciata da un’emigrazione che non si ferma e da un’insicurezza che non finisce. I cristiani dell’Iraq affronta da anni sfide terribili. Ma forse proprio nel Natale di questo più che travagliato 2020 raccoglie qualche soddisfazione che, da morale, potrebbe trasformarsi in qualcosa di più.
Intanto da quest’anno il Natale del Signore diventa per sempre giorno festivo per tutto l’Iraq. Era già successo nel 2008, ma era stata un’iniziativa sporadica, limitata a quell’anno. La differenza è grande e al risultato si è arrivati grazie a una decisione del parlamento iracheno stimolato però dalla proposta che il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, aveva avanzato in un incontro con il presidente della Repubblica Barham Salih, un ingegnere curdo con un passato di studi nel Regno Unito. In quella stessa occasione, Salih aveva sottolineato il ruolo dei cristiani nella ricostruzione del Paese, e in particolare della Piana di Ninive, dopo le distruzioni portate dall’Isis, e si era detto deciso a battersi per il ritorno dei cristiani sfollati o rifugiati all’estero. Il riconoscimento alla festività del Natale potrebbe essere un primo passo nella giusta direzione.
E poi c’è la preparazione della visita di papa Francesco, che dovrebbe appunto recarsi in Iraq dal 5 all’8 marzo del prossimo anno. Un viaggio di cui si parla da almeno due anni e che arriva nel momento giusto, non solo per rincuorare la comunità cristiana ma anche per riportare l’attenzione del mondo sulle sorti di una componente etnico-religiosa decisiva per la stabilità dell’Iraq e dell’intero Medio Oriente, come sanguinosamente dimostrato dagli eventi degli ultimi anni.
Il Papa arriverà in un Iraq che ha di recente rinnovato i vertici politici e che, forse per la prima volta, ha visto protestare insieme contro la corruzione e la povertà cittadini di tutte le estrazioni etniche e religiose. E in un Medio Oriente che proverà a valutare le iniziative del nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Accanto all’aspetto religioso e spirituale, dunque, il viaggio di papa Francesco avrà per forza di cose anche un «peso» politico. Potrebbe significare un po’ di sollievo per i cristiani iracheni, che hanno finora sofferto in modo indicibile non solo per la guerra e la violenza, ma anche per una certa indifferenza da parte dell’Occidente.