Arrivare ai 1.500 metri di Maaloula, e alle rocce che sembrano doverla travolgere da un secondo all’altro, è ancora un’impresa. Certo, non siamo più nel 2013, quando i terroristi di Jabat al-Nusra si insediarono nel piccolo villaggio siriano e, prima di esserne cacciati dopo quasi un anno dall’esercito siriano, uccisero 200 persone e devastarono le chiese e i monasteri. Però occorrono lettere di presentazione, qualche raccomandazione, alcune piccole mance nei punti giusti e tanta calma per superare i posti di blocco, su questa direttrice ancora numerosi e attenti più che altrove. Al punto che sulla nostra strada un soldato ha lasciato andare una raffica di kalashnikov in aria per bloccare un automobilista che faceva il furbo e tirava dritto.
Però ne vale la pena. Maaloula è un miracolo vivente. È l’unico villaggio, insieme ad altri due più piccoli e non lontani, in cui si parla il dialetto occidentale della lingua aramaica, il dialetto di Gesù. È un centro cristiano antichissimo, da sempre abituato a fare i conti con una presenza “diversa” sempre maggioritaria e spesso ostile. Era così nei primi secoli dopo Cristo, lo testimoniano le grotte, tuttora accessibili, che punteggiano le montagne, in quei tempi lontani usate come rifugio dalle persecuzioni. Ed è stato così anche negli ultimissimi anni.
In quelle grotte si sono rifugiati di nuovo i cristiani nel 2013, quando i terroristi di Al Nusra, appostati sulla cima della montagna, bersagliavano il villaggio con i colpi dei loro cecchini. Attestati sulle cime per quasi un anno prima di essere cacciati dall’esercito siriano, i miliziani hanno ucciso a sangue freddo più di 200 abitanti del villaggio.
E qui è arrivato l’ennesimo miracolo di Maaloula, ora testimoniato dagli operai che si danno da fare intorno a Mar Taqla e Mar Sarkis, il monastero dedicato a Santa Tecla e quello, posto appunto sulla cima più alta, intitolato ai santi Sergio e Bacco. I miliziani li occuparono fin dai primi giorni e a Santa Tecla ancora si vedono le stanze con i muri imbrattati dagli slogan islamisti.
Come sempre, nelle loro azioni si mescolavano odio religioso e puro interesse ladresco. Dalla chiesa di Sergio e Bacco, che risale al terzo secolo dopo Cristo, sono state asportate 26 preziose icone mentre gli arredi meno “commerciabili” sono stati distrutti sul posto. Evidente, negli sfregi e nei vandalismi contro i due monasteri, lo scopo di cancellare i segni della presenza cristiana. Furono persino appiccati alcuni incendi ma i monasteri hanno resistito, sono ancora qui. Dal Libano, per vie avventurose, è persino tornata a Maaloula la porta della chiesa di Mar Sarkis: un legno di cedro vecchio di duemila anni.
Fervono i lavori di restauro, si diceva. Ben più difficile, però, sarà restaurare gli spiriti e le relazioni tra le comunità. A Maaloula c’erano 500 famiglie greco-ortodosse, la metà è scappata il più lontano possibile. Torneranno? Regna il pessimismo. La guerra non è finita, la ripresa economica è lontana e queste zone non erano ricche nemmeno prima. Ma il segno più profondo, qui come altrove in Medio Oriente, l’ha lasciato lo scoprire che il tuo vicino di casa, l’uomo o la donna che salutavi ogni giorno da tanti anni, poteva essere il primo, in determinate condizioni, a rivoltarsi contro di te, a mostrarti un odio che non avresti immaginato. Chissà se basterà il tempo a sanare questa ferita…