COSI’ OBAMA SPIEGA L’EUROPA AGLI EUROPEI

ObamaIl presidente Obama durante il discorso a Varsavia.

A un primo sguardo, il viaggio in Europa che porterà Barack Obama dalla Polonia al vertice G7 di Bruxelles e poi in Francia, alle spiagge della Normandia per i 70 anni dello sbarco alleato, ha preso le mosse con toni piuttosto bellicosi. A Varsavia il Presidente ha annunciato un piano da un miliardo di dollari per potenziare “la sicurezza della Polonia e dei nostri alleati in Europa centrale e orientale”, nell’ambito dell’Iniziativa di Riassicurazione Europea che prevede più truppe a terra e più pattugliamenti Nato nel Baltico e nel Mar Nero. Nello stesso tempo, Obama ha spronato i Paesi europei a investire di più nella Difesa, senza lasciarsi distrarre dai problemi della crisi economica.

In Polonia, però, Obama giocava in casa. Il Paese che già accoglie parte dello scudo stellare americano (che nella narrazione della Casa Bianca è, ovviamente, un’iniziativa pacifica), ospita gli F35 trasferiti da Aviano a causa dell’emergenza Crimea, festeggia il venticinquesimo anniversario della prima elezione democratica dopo la fine del comunismo e ha motivati e radicati sentimenti di scarsa simpatia verso la Russia, era il terreno ideale per una almeno simbolica chiamata alle armi. Di certo alla vigilia delle celebrazioni in Normandia e nel ricordo di un intervento  militare che mise il sigillo sul “secolo americano” e fu decisivo per liberare l’Europa occidentale dalla peste nazista.

Ma non c’è solo questo. Alzando i toni, e descrivendo un’Europa centrale e orientale minacciata dal Cremlino, Obama punta anche a sfruttare fino in fondo gli effetti di quella crisi ucraina che Unione Europea e Russia avrebbero, oggi, tutto interesse a chiudere. Sarà un caso ma più o meno mentre Obama parlava a Varsavia, Vladimir Putin e Angela Merkel discutevano al telefono e si davano appuntamento in Normandia per trovare il modo di pacificare le regioni di Donetsk e Luhansk. Pacificazione che, come si vede, ora tocca all’Europa raggiungere, non agli Usa.

Obama lo stratega

Da questo punto di vista il discorso di Varsavia è l’ideale proseguimento di quello che Obama ha tenuto, una settimana fa, a West Point, illustrando le nuove strategie Usa in tema di sicurezza nazionale. “Quando problemi di portata globale non pongono una diretta minaccia agli Stati Uniti”, disse Obama ai cadetti, “… non dobbiamo muoverci da soli ma mobilitare gli alleati in un’azione collettiva”. E fece proprio l’esempio dell’Ucraina, dove alla “azione collettiva” anti-russa hanno partecipato, parole di Presidente, l’Europa, il G7, l’Osce, il Fondo Monetario Internazionale e la Nato.

Obama ha ragione. E’ chiaro che la Casa Bianca, come ogni cancelleria che conti, ha in mente soprattutto l’interesse della propria nazione e il benessere dei connazionali. Altrimenti non si capirebbe perché il Nobel per la pace, così sensibile al dramma dei siriani, sia così indifferente a quello dei sauditi o dei cittadini del Bahrein, dove sempre di libertà e democrazia si tratta. Da questo punto di vista, la gestione del problema ucraino è stata perfetta. Intorno all’Ucraina Obama ha saputo mobilitare persino l’Unione Europea che, sfinita dall’allargamento a Est (otto nuovi Paesi tra 2004 e 2007), aveva traccheggiato sull’adesione dell’Ucraina, al momento giusto non aveva potuto ribattere alle profferte della Russia (20 miliardi di crediti e sconto di un terzo sul prezzo del gas) e ora si trova in mano i cocci di un pax energetica già messa a rischio dai sussulti ucraini nel 2006 e nel 2009. E’ un capolavoro: colpita la Russia, messo a rischio l’asse russo-tedesco e scaricato un problema in braccio alla Ue. Tre piccioni con un’Ucraina che, è facile prevederlo, entrerà presto nella Nato.

Poi, naturalmente, la realtà delle cose ha un “peso” che prima o poi si fa sentire. La Russia non può stare senza i nostri euro e le nostre fabbriche non possono girare senza il gas russo. Un accordo si dovrà per forza trovare, e lo si troverà con l’Ucraina, sul cui territorio passano molti dei principali gasdotti. Chiunque la governi, Poroshenko compreso. Nel frattempo la gente muore a Donetsk, Slavjansk e Luhansk, proprio come prima moriva in piazza a Kiev. Ma questo, a quanto pare, non interessa a nessuno.

Pubblicato su Avvenire del 4 giugno 2014

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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