Un accordo è quasi sempre meglio di un disaccordo. Così, se Barack Obama certo esagera quando parla di “un mondo più sicuro”, ha altrettanto certamente ragione nel dire che l’accordo raggiunto dal cosiddetto 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Cina) con l’Iran blocca per Teheran “le strade più verosimili verso la costruzione di una bomba atomica”.
Per quanto si sa, l’Iran si è impegnato a interrompere l’arricchimento dell’uranio sopra il 5%, a non aggiungere altre centrifughe e a neutralizzare le sue riserve di uranio arricchito a quasi il 20%, mentre le maggiori potenze non imporranno per i prossimi sei mesi ulteriori sanzioni a Teheran e ammorbidiranno quelle già in vigore. Ricordiamo che l’uranio arricchito al 20% è quello indispensabile alla costruzione della bomba atomica, mentre quello arricchito al 5% è utile solo per gli usi civili del nucleare.
Tale accordo è valido solo per sei mesi, un lasso di tempo che dovrebbe consentire alle parti di raggiungere un’intesa più approfondita e definitiva.
L’intesa, pur se parziale e provvisoria, è importante non solo perché porta un po’ di sereno su un Medio Oriente fin troppo tormentato, ma anche perché segnala la volontà (o la necessità, che in politica è quasi la stessa cosa) dell’Iran di reinserirsi nell’ambito della diplomazia internazionale, con gli oneri e gli onori che ciò comporta. Il fatto che la trattativa non sia stata annullata dal regime degli ayatollah dopo le prime, difficili fasi, testimonia anche del fatto che il presidente Rohani è abbastanza saldamente al potere a Teheran.
Israele, che con la sua propaganda da dieci anni cerca di convincere il mondo che l’Iran avrà la bomba domani e che quindi deve essere attaccato, ha subito criticato l’accordo. Il premier Netanyahu ha dichiarato che il suo Paese terrà le mani libere, senza farsi vincolare da un’intesa che non condivide. Ci si potrebbe chiedere, prendendo alla lettera le dichiarazioni, perché il mondo debba continuare a dare ragione a un Governo come quello dello Stato ebraico, che è già il più potente (bomba atomica compresa) del Medio Oriente e che avrebbe voluto coinvolgere gli altri in un’impresa militare contro l’Iran che risulta del tutto ingiustificata.
Ma il cruccio vero di Netanyahu (e non solo suo, anche dell’Arabia Saudita e degli Stati del Golfo in genere) non è questo accordo, bensì la prospettiva che Usa e Iran tornino a parlarsi. Il che alla lunga potrebbe scompaginare la situazione di conflitto permanente tra sciiti (Iran, Libano e Siria) e sunniti (tutti gli altri) che in questo momento vede il fronte sciita in forte crisi. Uno scontro da cui proprio Israele trae, oggi, il maggior dividendo politico.