Valeva la pena, ieri, mentre le notizie partite da Pechino (abolizione dei campi di lavoro, riduzione del numero dei reati punibili con la pena di morte, attenuazione della politica del figlio unico) facevano il giro del mondo, dare un’occhiata al sito del Governo della Repubblica popolare di Cina. Il titolo più grande era sulle riforme appena varate dalla sessione plenaria del diciottesimo Comitato centrale del Partito. Ma il resto era un’apoteosi della politica dal volto umano: il presidente Xi Jinping raccoglie frutta coi contadini dello Hunan, il Governo si batte contro l’inquinamento, e poi la qualità della vita nelle metropoli, lo sviluppo culturale, il benessere nelle campagne, persino un piano per far tornare in patria i “cervelli” cinesi che si sono sistemati all’estero.
Insomma, i cittadini in primo piano, i loro bisogni sopra tutto e un partito dal volto improvvisamente umano. Magari troppo umano? Si fa ancora fatica a capire se questa inattesa apertura sul fronte dei diritti civili sia un segno di forza o non, piuttosto, di debolezza. Certo, quanto a riforme Xi Jinping, presidente della Repubblica e nuovo uomo forte del regime cinese, ha credenziali da vantare, in quanto figlio di Xi Zhongxun, compagno di lotta di Mao, funzionario di alto livello del Partito, purgato due volte (nel 1962 e poi durante le Rivoluzione Culturale), detenuto per 16 anni, infine (1982) riabilitato e riammesso all’ufficio politico del partito, dove fu tra i pionieri del nuovo corso. Nel periodo peggiore, il giovane Xi Jinping (nato nel 1953) visse in una caverna e pascolò le capre, dovrebbe quindi ben capire che cosa vuol dire campare di stenti come fanno, ancora oggi, 200 milioni di suoi connazionali.
Se così fosse, il regime (un regime sicuro di sé e delle proprie possibilità) si appresterebbe a restituire ai cinesi, sotto forma di qualche diritto in più, una piccola parte dell’enorme mole di sofferenze che essi hanno dovuto sopportare, con la pianificazione familiare di Stato e la repressione dei campi di concentramento e delle fucilazioni, per accompagnare il sogno neo-capitalistico del Partito. Di nuovo, Xi Jinping sarebbe l’interprete ideale di questa fase: un “secchione” mai sopra le righe che per anni ha quietamente accettato che sua moglie Peng Liyuan, apprezzata soprano, fosse molto più nota di lui.
Ma non dobbiamo dimenticare che l’ultimo Comitato Centrale ha appena decretato che il mercato meritava una promozione: da “basilare”, com’era definito nella dottrina economica applicata dal 1992 a oggi, è diventato ora “fondamentale”. Il che, fuori dai codici di partito, può voler dire che la Cina delle ricchezze esibite e della borghesia nascente stenta a trascinare con sé la Cina dell’inurbamento forzato, dei quattro letti di ospedale ogni mille persone, dei 6.900 euro di Pil annuo per persona, di quel 44% della popolazione rurale che ha scarso o nullo accesso agli impianti sanitari. Il Partito vuol chiedere un altro sforzo ma sa di non poter “spremere” i cinesi più di quanto abbia già fatto. Il miraggio della scodella in più di riso è diventato, vent’anni dopo, la promessa di un rapporto più umano tra i cittadini e lo Stato.
Il tempo ci dirà in quale direzione marcia il colosso dell’Oriente. A noi resta il diritto a un vigile ottimismo, a credere che la Cina voglia contare sulla scena mondiale, un giorno, non solo per la potenza economica ma anche per quel rispetto dei diritti delle persone che è stato nel tempo il vero propellente dei Paesi oggi più prosperi e dinamici. Sperando che il tutto non finisca come la carriera di Peng Liyuan, scomparsa di colpo dalle scene nel 2008, quando suo marito, eletto vice-presidente, raggiunse il vertice del potere.
Pubblicato su Avvenire del 16 novembre 2013