Stupirsi per quanto viene fuori, giorno dopo giorno, sulla massiccia attività di spionaggio della Nsa (National Security Agency) americana, sarebbe non da ingenui ma da sciocchi. Un’infarinatura di storia, o anche solo la lettura di qualche buon giallo, dovrebbero aver ormai chiarito che c’è una ragione, diciamo pure una buona ragione, se tutte le nazioni provvedono a dotarsi di servizi più o meno segreti, che segreti non avrebbero bisogno di essere se, appunto, non dovessero agire all’insaputa di tutti, anche degli alleati.
Quando però un Paese strapotente come gli Stati Uniti intercetta quattro milioni di comunicazioni fra cittadini di un Paese amico come l’Italia, o in un solo giorno (7 gennaio 2013) spia 60 milioni di comunicazioni in corso tra due Paesi alleati ed amici degli Usa come Italia e Germania, c’è qualcosa che davvero non funziona. E ben si comprende la protesta generale che, dal nostro presidente Napolitano a quello francese Hollande alle autorità della Ue, si leva verso la Casa Bianca per chiedere esaurienti spiegazioni.
A metterci sulla cattiva strada però, dopo le rivelazioni chissà quanto spontanee del tecnico informatico Edward Snowden, sono state proprio le polemiche scoppiate in primo luogo in America. Obama spia gli americani, gridavano giornali e Tv da New York a San Francisco. Alludevano all’uso del Patriot Act, la legge che consente al Governo Usa lo spionaggio massivo anche ai danni dei propri cittadini, fatta approvare da Bush nel 2001 dopo la strage delle Torri Gemelle e serenamente confermata da Obama nel 2011.
Se avessimo letto bene, però, avremmo notato che dei 93 miliardi di file incamerati dai computer della Nsa, solo 3 riguardavano dati e comunicazioni intercettati sul suolo degli Usa, mentre tutto il resto veniva da altre parti del mondo. E avremmo altresì notato che, in assoluto, il Paese più spiato dagli Usa era la Germania. Non la Russia o la Cina: la Germania.
Sarebbe bastato questo a farci tirare le conclusioni che oggi, dopo le ultime rivelazioni, sembrano quasi scontate. La prima è: con tutte queste spiate il terrorismo ha ormai poco a che fare. Se i servizi segreti americani temessero davvero atti ostili, terrebbero molto più sotto controllo quanto avviene a casa loro. Gli attentati dell’11 settembre 2001 furono preparati, e per lungo tempo, negli Usa, non altrove. Gli attentati più clamorosi degli ultimi anni sono stati compiuti negli Usa da cittadini Usa o da stranieri comunque residenti negli Usa. Il fatto che a subire le intercettazioni sia stata la Germania ci dice chiaramente che la partita, ora ma non da ora, si svolge sul terreno dell’economia, di cui la Germania è, direttamente per il peso che ha nelle politiche dell’Unione Europea, e indirettamente per i legami che ha costruito con la Russia (energia) e con la Cina (industria), un giocatore di primo piano. E’ giusto, quindi, che ora la Ue minacci di bloccare il trattato di libero scambio che sta per essere siglato con gli Usa, per la semplice ragione che forse lo scambio non sarebbe tanto libero, viste le intrusioni.
Da questa premessa discende l’altra constatazione: a dispetto delle alleanze, per gli Usa ci sono amici di serie A e amici di serie B. Tra i primi ci sono Paesi rispettabili ma sostanzialmente vassalli delle politiche americane: Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda. E tutti gli altri stanno nella seconda categoria, senza rimedio. Italia compresa: anche se siamo alleati fedeli e convinti, anche se ci stiamo svenando per comprare caccia F35 sviluppati secondo il progetto del ministero della difesa Usa, anche se per stare nella Nato e accanto agli Usa abbiamo perso 53 soldati in Afghanistan. E’ triste ma ci ricorda una legge mai smentita: le potenze non hanno ideali ma solo interessi.
Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 1 luglio 2013