IL TELEFONO DI GIORGIO, I SOLDI DI GRILLO

Giorgio Napolitano e Beppe Grillo

Pare che gli hacker ora abbiano preso di mira Grillo e il M5S. La posta elettronica di due deputati grillini, Giulia Sarti e Stefano Vignaroli, è stata intercettata e scaricata e i criminali informatici ora ricattano Grillo e Casaleggio: pubblicate i vostri redditi personali e i proventi del blog o rendiamo pubblico il contenuto delle due caselle di posta.

Giorgio Napolitano e Beppe Grillo

Un ricatto, appunto. E bene ha fatto l’onorevole Vignaroli a dichiarare a Repubblica: “Siamo vostri dipendenti, personaggi pubblici, ma questo non implica che la nostra vita privata debba essere sbattuta sui giornali, in Tv o in Rete”. Giusto, giustissimo anzi. Personalmente spero gli hacker siano scoperti e puniti come meritano.

Allo stesso tempo, spero che l’onorevole Vignaroli si ricordi di queste sue parole anche in altri casi. E in particolare si chieda: perché quel che vale per un onorevole come me non dovrebbe valere per il presidente della Repubblica? Perché proprio il movimento grillino (oggi Grillo ha dichiarato: “Nella distruzione dei nastri delle conversazioni tra Mancino e Napolitano il 25 aprile è morto”), e i giornali che lo fiancheggiano sono stati i più duri nell’aggredire Giorgio Napolitano quando spuntò la questione delle telefonate (5, per un totale di 18 minuti) ricevute da Nicola Mancino nel 2011, all’epoca finito sotto la lente della Procura della Repubblica di Palermo per la famosa trattativa Stato-Mafia, nel 2012 ufficialmente iscritto nel registro degli indagati e poche settimane fa rinviato a giudizio.

Naturalmente oggi ci troviamo di fronte a un reato e allora solo a una manovra politica. Legittima, cioè non illegale, ma scorretta. Il ragionamento che si faceva, allora, e a cui Il Fatto, Antonio Di Pietro e altri davano gran voce, era questo: se Napolitano non ha nulla da nascondere, pubblichi quelle telefonate. Se non le pubblica, quelle telefonate sono sospette. Che direbbe l’onorevole Vignaroli se oggi qualcuno pretendesse: se Grillo e Casaleggio non hanno nulla da nascondere, pubblichino redditi personali e proventi ricavati dal blog del M5S; se non lo fanno, c’è qualcosa che non va. Sarebbe una porcheria, giusto?

Allora perché una cosa che era giusto, anzi, civile fare con Napolitano sarebbe una porcheria con Grillo? E perché non vale il contrario? Tanto più che la “questione Napolitano” era a sua volta una porcheria politica vera. Difficile da dirimere in punta di diritto (sia per quanto riguarda la normative che regola le intercettazioni telefoniche, sia per quanto riguarda responsabilità e attribuzioni del Presidente), ma piuttosto chiara alla luce del comune buon senso.

Cinque telefonate per un totale di 18 minuti, come sa chiunque abbia un telefono, corrispondono a “come va?”, “come stai?” e poco più. Impossibile in quel minutaggio affrontare qualunque argomento di una certa importanza e delicatezza, figuriamoci poi discutere di quel che poteva o non poteva succedere a Mancino rispetto alla Procura di Palermo.

Inoltre bisogna avere l’anello al naso per credere che un politico come Napolitano, con 60 anni d’esperienza (in gran parte maturata a una scuola severa di partito come quella comunista) e il ruolo di ministro degli Interni alle spalle, possa aver affrontato certi argomenti con un politico preso di mira da una Procura. Politico che, tra l’altro, era Mancino, ex ministro degli Interni a sua volta, ex presidente del Senato ed ex vice-presidente del Consiglio superiore della Magistratura. Cioè: due politici che avevano guidato i servizi segreti avrebbero tranquillamente parlato di cose tanto delicate e pericolose, senza immaginare di poter essere intercettati?

Tutto questo, come vedete, anche a prescindere da ipotesi di buona fede e correttezza personale e istituzionale, tutt’altro da scartare. E’ il caso dunque di dire, per tornare al caso dei due deputati grillini, che sarebbe pure ora di smetterla con l’idea demenziale della sacralità della Rete. E anche di calmare certi furori di presunta moralizzazione, anche se facili da vendere al popolino. Gli eccessi prima o poi si rivoltano contro chi li produce.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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