“I problemi dell’Italia e degli italiani…”. Davanti a Laura Boldrini e a Pietro Grasso che gli davano comunicazione ufficiale della rielezione, il bi-presidente Napolitano ha subito fatto riferimento alla crisi che tormenta il Paese. Un richiamo alle vere priorità dopo settimane spese sui mal di pancia dei partiti. E un invito a non perdere di vista il corto circuito politico-economico in cui viviamo dal giorno delle elezioni: il massimo del caos all’interno, il massimo dell’ordine all’esterno.
Da allora l’Italia, di fatto, ha un Governo che gestisce l’ordinaria (si fa per dire) amministrazione; e fino all’elezione di Giorgio Napolitano non ha avuto una credibile prospettiva di nuovo Governo. Eppure in questo periodo la temuta “finanza internazionale” ha tenuto il nostro Paese fuori dalle manovre speculative. Lo spread, che il 13 novembre 2011 (dimissioni di Berlusconi) era arrivato a 575 punti (cioè, gli interessi da pagare agli acquirenti dei nostri titoli di Stato erano del 5,75% superiori a quelli dei titoli tedeschi), e che Monti considerava un trionfo aver riportato sotto 300, se n’è rimasto buono a 298. E gli investitori si sono lanciati sulle aste dei titoli di Stato con appetito da lupi, se il ministero dell’Economia ha potuto raccogliere 17 miliardi in due giorni con i Btp Italia.
Tutto bene? Per niente. Ciò dimostra solo che la finanza internazionale non teme un Governo di pura ragioneria, finché i meccanismi di garanzia (e certo Napolitano è uno di questi, soprattutto nei confronti dell’Europa) sono al loro posto. Bisogna però vedere quel che farà quando Monti lascerà il posto ad altri, chiunque siano. Su questa fragile pace insiste il disastro interno, ciò che sappiamo bene: la produzione ristagna (il Fondo monetario prevede nel 2013 un ulteriore calo dell’1,5% della ricchezza nazionale), i disoccupati aumentano (siamo al 12%, e quasi al 40% tra i giovani), le imprese soffrono (ogni giorno ne escono dal mercato più di 200), le famiglie bruciano risorse accumulate dalla precedente generazione: 4,2 milioni di famiglie non arrivano a fine mese, dicono Censis e Confcommercio; altri 14,5 milioni non riescono più a risparmiare e 11 milioni di famiglie vanno in crisi alla minima spesa consistente e imprevista.
Non possiamo permetterci di perdere la fiducia degli altri Paesi e degli operatori istituzionali perché, nelle condizioni in cui siamo, non resisteremmo a manovre speculative ben organizzate. Ma anche quella fiducia potrebbe non durare se non dimostriamo di saper prendere i provvedimenti giusti per affrontare i nostri problemi. E ci si stupisce se i partiti, dopo un po’ di litigate, sono tornati a chieder consiglio al Grande Nonno del Quirinale?
Pubblicato su Famiglia Cristiana n.17/2013