Dopo le votazioni che hanno affondato la candidatura alla presidenza della Repubblica del “lupo marsicano” Marini, il comune cittadino elettore come chi scrive ha netta l’impressione che la dirigenza del Pd abbia scelto di suicidarsi nel modo più complicato e doloroso. Qualche considerazione.
1. Dopo aver detto “no” per un mese al governissimo, o Governo delle larghe intese col Pdl, eccola a scegliere il Presidente con lo schema, appunto, delle larghe, anzi larghissime (Monti, la Lega…) intese. Bersani ci direbbe: la partita per il Quirinale è altra cosa rispetto alla formazione di un Governo. Forse. In teoria. Ma sarebbe poi il Presidente appena eletto a distribuire le carte per la formazione del nuovo, ipotetico Governo, quindi il sospetto di un voltafaccia che dal Presidente dovrebbe estendersi al Governo è concreto e giustificato.
2. Se almeno il partito fosse compatto. Ma alla prima votazione, al candidato “di partito” Marini sono arrivati solo 521 voti, con 104 schede bianche e 15 nulle. Quel che manca è frutto quasi interamente del dissenso interno al Pd. Con un ulteriore paradosso: la “destra” Pd (renziani e C.) preferirebbe un uomo di sinistra come Rodotà, mentre la “sinistra” (Bersani e il gruppo dirigente) sceglie un candidato accetto ai moderati. Di fatto, questa elezione presidenziale ha fatto nascere un secondo Pd, confusamente ma anche palesemente alternativo al primo.
3. Grillo è andato gridando su ogni tetto: “Marini è il candidato di Berlusconi”. Propaganda, certo, ma anche un briciolo di verità: almeno per le ragioni di cui sopra, e poi anche per il fatto che a Marini comunque si è arrivati nel tentativo di accontentare Berlusconi e i suoi timori giudiziari o, per dirla con più eleganza: per tener conto che il PdL ha comunque ottenuto il 30% dei voti. Dal punto di vista della comunicazione politica, per il Pd è in ogni caso un disastro.
4. Ovviamente le qualità personali di Franco Marini non sono in discussione e non c’entrano con questo discorso. Ma è chiaro che se Marini non diventa Presidente, la linea Bersani (già non brillantissima, quanto a risultati, con le elezioni politiche e con le successive trattative per il Governo) esce bocciata in modo clamoroso. Anche se il Presidente viene estratto dal mazzo degli uomini simpatizzanti per il Pd o stimati dai suoi elettori. In altre parole: eleggere Marini con il PdL non è come eleggere D’Alema con il PdL, e tantomeno come eleggere Prodi o Rodotà con i grillini. Così (e spiace dirlo, con tutta la simpatia per un politico come Bersani che è stato almeno un ottimo ministro) se Marini non diventa Presidente Bersani dovrebbe lasciare la segreteria.