MILANO: TRA MR. HU E IL SCIUR BRAMBILLA

Il "quartiere cinese" di Milano.

DI ROSANNA BIFFI – Non è mai stato il cognome più diffuso a Milano, ma a memoria di tutti è il più milanese tra i cognomi. Il “sciur Brambilla” è come il panettone: lo pronunci e non puoi che associarlo alla città della Madonnina. Da buon sismografo, ne registra anche i cambiamenti: negli anni Settanta fu sorpassato da Russo e sancì la durevole immigrazione dal Meridione d’Italia al Nord industriale. Nel terzo millennio è abbondantemente messo in minoranza dal cinese Hu e ci ricorda fin dall’elenco telefonico che la globalizzazione è un fenomeno assestato.

Il "quartiere cinese" di Milano.

Nella primavera del 2012 l’Anagrafe di Milano ha comunicato l’elenco dei primi 100 cognomi registrati in città. Al primo posto il solito Rossi (oltre 4 mila residenti), ma al secondo il brevissimo Hu (quasi 3.700), che chiaramente non è di origine meneghina. E i Brambilla, sui quali nei primi decenni del Novecento fu composta una canzone, La famiglia Brambilla in vacanza? Solo al nono posto, con 1.536 milanesi.

Ma i milanesi, naturali rappresentanti di una città meticcia per antonomasia, non ne hanno fatto un dramma: «È una cosa naturale. Quando è nata mia nipote Giulia, in ospedale l’abbiamo registrata assieme a una famiglia che iscriveva la sua piccola Hu», ha commentato il presidente dell’Associazione dei Brambilla, Marco. «Non abbiamo una gran varietà di cognomi, a differenza di voi italiani», ha osservato, altrettanto privo di partigianerie, Luigi Sun, storico portavoce della comunità cinese nella Chinatown di Milano, la zona intorno a via Paolo Sarpi nella quale si stabilirono i primi immigrati dalla Cina nel 1920. Ma oggi la loro presenza è trasversale a tutti i quartieri di Milano. Si calcola che siano 400 i ristoranti cinesi e che il 20% dei bar in città sia gestito da discendenti dei mandarini. Così, la giovane figlia di un “sciur Brambilla” avrà consumato diversi happy hour in locali gestiti da qualche Hu e la moglie sarà stata di sicuro a farsi i capelli da parrucchieri con gli occhi a mandorla che vantano prezzi concorrenziali.

Venticinque anni fa, tra i primi trenta cognomi milanesi non se ne contava neppure uno straniero. Ora sono quattro, e quelli cinesi vanno fortissimo. Sono la terza etnìa a Milano, dopo filippini ed egiziani, e oltre al fatto che in Cina i cognomi sono pochi, bisogna aggiungere che circa il 70% dei sinomilanesi proviene da un’unica provincia a sud di Shanghai, quella dello Zhejiang. Per contro, come ha notato il presidente dell’Associazione dei Brambilla, i suoi omologhi fanno meno figli degli immigrati e si trasferiscono fuori Milano a causa del caro prezzi in città. E tuttavia, nella metropoli e nella sua provincia, le donne venute dall’estero sembrano adeguarsi ai tassi di natalità locali, mettendo al mondo meno bambini che in altre parti d’Italia.

Per molti versi, Milano è tuttora un laboratorio nazionale di modernità. Su un milione e 300 mila abitanti, conta all’incirca 210 mila stranieri regolari che provengono dai Paesi della cosiddetta “pressione migratoria”: per intenderci, dal conto degli immigrati milanesi sono esclusi americani, francesi, tedeschi, inglesi e così via. Rimane una città che attrae molti giovani italiani da altre parti della nazione, sia per studiare sia per cercare o avviare un lavoro. E tra i loro coetanei che di cognome fanno Hu e hanno studiato nelle scuole di Milano, tanti si chiamano Luca o Marco o Elena, parlano la nostra lingua e si sentono italiani, non cinesi.

Come sempre, dall’infanzia e dagli studi in comune tra etnìe diverse, nasce il vero melting pot che non bada alle origini ma alle esperienze e alla convivenza quotidiana. Chissà che qualche giovane Hu milanese non diventi in futuro assessore, sindaco o ministro. Com’è successo proprio nel 2012 in Francia, dove la ministra Fleur Pellerin, delegata alle piccole e medie imprese, all’innovazione e all’economia digitale, ha gli occhi a mandorla. Certo, perché nata in Corea del Sud e a sei mesi adottata da una famiglia francese. Prima o poi arriveremo anche noi italiani ad avvertire come del tutto naturale che si è figli del mondo nel quale si cresce e si vive .

di Rosanna Biffi

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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