Adesso tocca alla Francia. L’onda lunga del disastro di Fukushima, innestata sulla crisi economica che scoraggia i grandi investimenti, è passata sull’Italia (referendum), sulla Germania (uscita dal nucleare entro il 2020), sulla Svizzera e sulla Spagna (blocco di ogni ulteriore sviluppo) e si è infine rivesata nel Paese più nucleare del mondo: la Francia, appunto.
Vale la pena di ricordare qualche dato. La Francia nel 2010 ha prodotto per via nucleare 410 milioni di MWh d’elettricità (ogni MWh corrisponde al consumo mensile di due famiglie tipo). Le 19 centrali e i 58 reattori generano il 74,8% dell’elettricità consumata dai francesi (negli Usa è il 19%) e il 17% dell’energia. Da esse, Edf (Electriticité de France, il colosso statale dell’energia) ricava l’81% dell’energia elettrica che vende all’estero (a Italia e Svizzera per prime) e che fa di lei la prima azienda esportatrice del mondo. In Francia, infine, il settore nucleare dà lavoro a molte persone: Henri Proglio, direttore generale di Edf, parla di 1 milione di persone, la leader dei Verdi Eva Joly di 125 mila, uno studio della società di revisione PricewaterhouseCoopers di 410 mila. Sempre tante.
In un quadro come questo, la relazione della Corte dei Conti, pubblicata nei giorni scorsi, è arrivata come una bomba. In sostanza, i giudici hanno detto che la Francia ha ormai poche alternative. Eccole:
1. Sviluppa altre fonti energetiche, riequilibrando il mix della produzione energetica. Per esempio arriva a 75% nucleare, 11% idroelettrico, 10% eolico, 2% fotovoltaico e 2% gas), investendo non meno di 220 miliardi di euro.
2. Si rassegna a utilizzare reattori sempre più vecchi: entro il 2020, infatti, 22 dei 58 reattori francesi raggiungeranno i 40 anni di attività, quando cioè dovrebbero essere smantellati, e di lì in avanti l’utilizzo sarà a rischio.
3. Investe in manutenzione e ammodernamento dei “vecchi” reattori, spendendo miliardi e miliardi, dando per scontato che i nuovi reattori delle centrali Epr non saranno comunque pronti per quella data.
Facile immaginare che razza di discussione sia partita. Anche perché la Corte dei Conti ha messo il dito nella piaga. Al di là delle posizioni di principio o ideologiche pro o contro il nucleare, resta il fatto che ognuna di queste scelte ha i suoi pro e i suoi contro, soprattutto dal punto di vista economico. Oggi, con tutto quel nucleare, i francesi pagano l’energia elettrica molto meno degli altri europei: 450 euro l’anno una famiglia tipo, contro gli 850 che paga una famiglia tedesca. In media, i francesi risparmiano il 22% rispetto alla media in Europa, dove solo Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia e Croazia hanno prezzi più bassi.
Questo però è l’oggi. La Corte dei Conti valuta che gli investimenti per ammodernare gli impianti “usurati” (secondo i giudici, 3,7 miliardi l’anno da oggi al 2025) farebbero salire i costi di produzione fino a circa 60 euro per megawattora. Per non parlare delle centrali Epr che, se pure dovessero entrare in funzione con ragionevole ritardo (perché in ritardo saranno di sicuro), proporrebbero un costo iniziale di quasi 90 euro per megawattora. Costi più alti e impianti a rischio: ne varrebbe ancora la pena?
Così si litiga e si discute mentre intanto il tempo passa. Soluzioni economiche non ce ne sono. Il quotidiano economico Les Echo ha calcolato in 220 miliardi il costo di un’uscita completa dal nucleare. Secondo i Verdi, invece, il prezzo sarebbe di 410 miliardi, compensati dai 470 che, secondo loro, andrebbero spesi per rimodernare gli impianti usurati. Ma di decidere qualcosa, con le elezioni alle porte, ovviamente nessuno parla.