RUSSIA: LA RABBIA DI GIOVANI E BORGHESI

E’ in corso, o alle porte, una Primavera russa simile alla Primavera araba che scuote, per esempio, l’Egitto e la Siria? O siamo piuttosto di fronte a un fenomeno tipo gli “indignados”, che negli Usa e in Europa riempiono le piazze ma non cambiano la situazione? Certo, il colpo delle elezioni per il Parlamento, svoltesi domenica 4 dicembre, è stato forte. Quasi tutti (di certo io) prevedevano un calo di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, ma non un crollo simile: dal 64,3% dei voti al 49,2%, ottenuto peraltro con brogli che molti giudicano massicci.

Ma il botto ha prodotto anche delle crepe? Le manifestazioni di piazza, anche se clamorose, non devono illudere. Fischiare Putin o chiederne l’allontanamento è una cosa, vederlo lasciare il potere un’altra. E’ lecito pensare che, passata l’arrabbiatura per i brogli e l’euforia della ritrovata protesta, il fronte anti-Putin possa sgretolarsi. A questo punto, inoltre, il regime starà già facendo i suoi calcoli sull’appuntamento davvero decisivo: le elezioni presidenziali del 4 marzo, quelle in cui Putin dovrebbe tornare al Cremlino con un mandato di sei anni, grazie alle modifiche apportate alla Costituzione che ne prevedeva quattro. L’approccio relativamente morbido alle manifestazioni di piazza fa pensare che le autorità cerchino di “far passare la nottata” senza attizzare ulteriore scontento, e intanto preparino una campagna per far eleggere Putin al primo scrutinio, cosa per cui occorre una maggioranza del 50% dei voti, al momento inimmaginabile.

Fin qui l’avvocato del diavolo. Ci sono però due realtà nuove di cui tener conto. La prima è quella di una generazione, quella che il 4 dicembre ha votato per la prima volta, nata nel 1993. Ragazzi che non hanno conosciuto l’Unione Sovietica, hanno attraversato da bambini incoscienti l’epoca turbolenta di Eltsin (il 1993 è proprio l’anno del suo scontro con il Parlamento e del bombardamento della Casa Bianca) e sono invece cresciuti nella “democrazia regolata” ma stabile e in crescita economica di Putin. Con loro il patto, o il ricatto, “meno diritti per più stabilità” non funziona perché manca loro la memoria dei tempi peggiori. Per dire la differenza di generazione: i loro fratelli maggiori, nelle elezioni presidenziali del 2004, avevano massicciamente votato per Putin.

 

 

 

Vladimir Putin.

 

 

La seconda realtà da tenere in conto, per cercare di capire se di vero cambiamento si tratta, è la classe media russa. Il Centro di studi strategici di San Pietroburgo ha di recente pubblicato uno studio secondo cui oggi rientra nella definizione “classe media” il 20% della popolazione, che potrebbe diventare il 40% se l’economia russa continuasse a crescere del 4-5% l’anno (è cresciuta del 3,8% nel 2010, era cresciuta del 5,6% nel 2008). Il Centro, per stabilire l’appartenenza alla “classe media”, ha usato questo criterio: è un “borghese” chi ha un reddito pari a 800 dollari (25 mila rubli) al mese, considerato sufficiente per vivere e insieme acquistare un appartamento con un mutuo.

Tale classe media è quella che con più entusiasmo aveva sottoscritto il patto putiniano “meno diritti per più stabilità”. Ed è quella, ovviamente, che con più acutezza si è sentita tradita dall’esito deludente del quadriennio di Putin primo ministro. Un periodo in cui la crisi globale ha lasciato la Russia in balia del settore energetico e con tutti gli altri settori in forte crisi. Il che vuol dire: le risorse a disposizione della cerchia del potere (gas e petrolio sono stati ri-statalizzati proprio da Putin), i problemi a carico dei cittadini.

Se l’analisi è corretta, bisognerà attendere ancora un po’ prima di veder maturare una reale e organizzata opposizione, generata più dal disagio sociale che dalla maturazione di una vera alternativa. Il tempo, però, gioca a favore di Putin, uno che difficilmente si lascia sorprendere due volte.

 

 

 

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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