LA RUSSIA VA A VOTARE. PER PUTIN (1)

Domenica 4 dicembre si vota in Russia per il rinnovo del Parlamento. E il 4 marzo si voterà per scegliere il nuovo Presidente, che sarà poi quello vecchio: dopo l’intermezzo di Dmitrij Medvedev al Cremlino tornerà Vladimir Putin, e forse Medvedev prenderà il suo posto di premier.

Dicono i sondaggi che al Parlamento qualcosa potrebbe cambiare: Russia Unita, il partito pro-Putin e pro-Cremlino, potrebbe perdere una cinquantina dei 315 seggi (sui 450 totali) che controlla alla Duma, la Camera bassa; il Partito comunista potrebbe invece guadagnarne altrettanti e arrivare intorno al centinaio rispetto ai 57 attuali. Certo, il partito di Putin perderebbe la maggioranza assoluta che ora gli consente di decidere ciò che vuole quando vuole, ma non v’è dubbio che qualche alleanza ben aggiustata porrebbe rimedio all’impaccio.

Dando per scontato che Russia Unita continuerà a governare e Putin a comandare dal Cremlino (e adesso per almeno altri 6 anni, visto che la Costituzione è stata modificata per dargli un mandato più lungo), il punto vero diventa un altro: quale politica si darà la Russia per i prossimi anni? Anche se “solo” primo ministro, in questi quattro anni Putin non è rimasto a guardare. Ma i risultati migliori li ha ottenuti nel suo campo preferito: la politica dell’energia, che per la Russia è interna ed estera allo stesso tempo. Nel 2010 gas e petrolio (comprese le tasse raccolte per estrarli ed esportarli) hanno generato il 46% degli introiti dello Stato, una quota che negli ultimi sei anni non è mai scesa sotto il 37%. Putin ha affrontato la crisi finanziaria globale blindando la posizione di grande esportatore della Russia.

Ha messo sotto tutela in vario modo Ucraina e Belorussia. Ha reso Gazprom partner fondamentale nei progetti North Stream (l’altro partner decisivo è la Germania) e South Stream (con l’Italia) per il trasporto del gas e, manovrando la leva della questione nucleare, ha stipulato accordi con l’Iran che consentono alla Russia di non essere tagliata fuori del tutto dai traffici energetici del Golfo Persico. Ha gettato le basi per un accordo doganale tra Paesi ex sovietici che comprende anche il Kazakhstan, altro grande estrattore ed esportatore di gas. Insomma, sta riuscendo nell’impresa di trasformare la Russia nell’anello fondamentale della catena che unisce i Paesi consumatori dell’Ovest (soprattutto l’Unione Europea) e dell’Est (la Cina in primo luogo).

Una posizione di rendita quando tutto va bene, di grosso rischio quando l’economia è in crisi. E’ stato calcolato che per tenere in equilibrio il bilancio dello Stato russo, il prezzo del petrolio deve restare sopra i 115 dollari a barile. Oggi le contrattazioni viaggiavano poco sopra i 100 dollari e le previsioni a un anno parlano di 115-120 dollari. Affidare parte così importante del proprio destino economico a un solo settore significa esporsi in modo poco protetto alle incognite dell’economia globale. Proprio ciò che è successo nel 2008, quando il prezzo del greggio, arrivato a circa 150 dollari a barile in luglio, scese nel giro di poche settimane a meno di 50 dollari. Risultato: a fine 2009 il Pil russo era crollato dell’8%.

(1. continua)

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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