MAROCCO, LA PROTESTA DEL NON VOTO

Fino a ieri, il Marocco sembrava, insieme con la Giordania, un’eccezione rispetto agli altri Paesi della Primavera Araba. Di fronte alle prime proteste e ai primi disordini, il re Mohammed VI aveva annunciato una riforma costituzionale (marzo 2011), l’aveva effettivamente varata (giugno) e l’aveva sottoposta al giudizio di quasi 14 milioni di elettori marocchini (su 32 milioni di abitanti) attraverso un referendum (luglio).

La riforma era stata approvata e si pensava che la monarchia avesse più o meno superato la fase più difficile. Il voto di ieri, per il rinnovo della Camera dei rappresentanti, ci ha detto che non è così. Ha vinto il partito islamista moderato Giustizia e Sviluppo che, dopo una vita passata all’opposizione, è diventato il primo partito del Marocco: da 48 a 90/100 seggi, secondo le diverse proiezioni.

Il problema non sta tanto nella vittoria del partito islamico ma nella scarsa “qualità” del voto. Non c’è notizia di brogli (d’altra parte sui seggi vigilavano 4.000 osservatori marocchini e 300 osservatori internazionali) ma le urne sono andate quasi deserte: solo il 45% degli aventi diritto ha votato. Certo, più del 37% delle elezioni del 2007 ma molto molto meno del 72% che aveva contrassegnato il referendum costituzionale di luglio.

E’ un voto-non voto difficile da interpretare. E’  una sconfitta per la monarchia, che sperava di veder ribadito da questa elezione il favore che aveva accolto la riforma, e con esso anche la solidità dell’istituzione. Ma per il resto? La scarsa affluenza può significare che i marocchini sono disillusi dal processo di riforma, che non lo ritengono abbastanza deciso, e che quindi si sono rifugiati in una duplice forma di protesta: da un lato negano la fiducia al sistema, e non vanno a votare; dall’altro scelgono l’opposizione islamista.

Mohammed VI, re del Marocco.

Si apre in ogni caso una fase delicata. Re Mohammed VI, proprio in base alla “sua” riforma costituzionale, non può più scegliere il primo ministro ma deve attenersi alle indicazioni del partito che ha ottenuto più voti, in questo caso gli islamisti di Giustizia e Sviluppo. Non è però detto che il nuovo premier debba coincidere con il leader del partito vincitore, il che offre al re (e anche agli islamisti) uno spazio di manovra per evitare confronti radicali. In ogni caso, la frammentazione del quadro politico (si sono presentati al voto 20 partiti) è tale che un Governo di coalizione sarà inevitabile. Anche questo contribuirà a raffreddare gli spiriti troppo bollenti.

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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