DI GIORGIO VECCHIATO – Dunque, riassumendo. Berlusconi e Tremonti avevano in privato le loro frizioni ma, in pubblico, sembravano concordi sulla validità della nostra politica economica. Poi, sempre litigando sotto traccia, hanno ammesso insieme che non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Anzi le cose non andavano, né vanno adesso, per niente bene. Colpa magari delle crisi in Grecia, Portogallo e Spagna, degli errori in America, dell’egoismo tedesco, della supponenza francese.
Visto però che certi eventi nazionali e internazionali non si sviluppano dall’oggi al domani, ma hanno una progressiva maturazione, un turista venuto da Marte potrebbe obiettare che sia Berlusconi sia Tremonti potevano aprire gli occhi con un certo anticipo. In ogni modo, dipingendo prima in rosa e poi in nero il medesimo quadro, hanno per lo meno peccato di incoerenza.
Dopo il Governo, il Parlamento. Doveva andarsene festosamente in vacanza, tenendosi prebende e pensioni e fregandosene della rabbia popolare. Invece, poveri deputati e senatori, specie se di maggioranza, devono affrontare un caso di coscienza. Come si fa a svariare fra i Caraibi e le Maldive quando si deve rimettere mano alla manovra economica? Anch’essi, in verità, si sentono un po’ vittime delle contraddizioni ministeriali. Dopo aver creduto a suo tempo che Ruby fosse effettivamente la nipote di Mubarak, questione capitale, non potevano farsi venire dubbi per questioni marginali come le sberle ai Cct e i crolli in Borsa. Vanno capiti. Vengono quasi tutti dall’avvocatura, dalla magistratura, dal giornalismo, dai quadri di partito. Che ne capiscono di manovre monetarie?
E’ il Governo che deve provvedere. A Montecitorio si va per votare, come dice Cicchitto, non per fare politica o alta finanza. Poco importa che il Premier cambi idea sull’economia, un giorno va bene e l’indomani va male. Usi a obbedir tacendo, come i carabinieri, gli onorevoli dicono sempre di sì. La coerenza? Ma per carità, è materia ministeriale, non parlamentare.
Così stando le cose, non solo il visitatore marziano ma anche il comune cittadino avrebbe il diritto di porsi un quesito. Che ci stanno a fare Camera e Senato se il loro compito si riduce a dare carta bianca al Governo (la maggioranza), oppure a respingere per principio ogni suo provvedimento (l’opposizione)? Servirebbero delle riforme, quelle di cui si parla da sempre. Una diversa legge elettorale, che consenta scelte e non cooptazioni. Inoltre uno snellimento di apparati sclerotici, dimezzando il numero dei parlamentari. E, infine, norme che impediscano agli eletti di fare scandalosamente i loro comodi, aumentando i privilegi di casta mentre si taglieggiano le famiglie.
Tutti d’accordo, a chiacchiere. Ma vediamo in concreto. Si torni alle urne fra un anno o due anni, non ci saranno né tempi né modi per cambiare qualcosa. Le liste elettorali verranno nuovamente decise dall’alto, secondo la fedeltà ai capi-bastone. Riavremo quindi non una schiera di parlamentari “senza vincolo di mandato”, come dice la Costituzione, bensì un schiera di dipendenti. Ai quali si dovrebbe chiedere di ridursi come numero, attribuzioni, stipendi, pensioni e gratifiche. Valutata la qual prospettiva, noi italiani ci mettiamo l’animo in pace e il turista galattico riprende in fretta l’astronave verso Marte.
di Giorgio Vecchiato