Domani si vota in Egitto. Vedremo come andrà a finire, se i Fratelli Musulmani otterranno un risultato migliore di quello del 2005, quando raccolsero il 20% dei seggi parlamnentari a dispetto del bando che tuttora impedisce loro di presentarsi come partito politico autonomo. Intanto, possiamo dare un’occhiata a che cos’è successo altrove, in altre parti del Medio Oriente dove si sono tenute elezioni passabilmente regolari e passabilmente democratiche.
In Bahrein, per esempio. Al voto ha partecipato il 76% degli aventi diritto e l’opposizione sciita ha vinto, ottenendo il 45% dei voti. Una rivoluzione democratica? Ma no, tranquilli. Non è cambiato nulla. Il re, sua maestà Hamad bin Isa al Khalifa, ha il diritto di nominare una Camera Alta che può bloccare le leggi votate dalla Camera Bassa (quella, appunto, per cui si vota), e comunque il Governo è presieduto da suo figlio Khalifa. Altro caso: la
Giordania. Intanto, ha una legge elettorale (quella basata sul Single Non Transferable Vote, per cui l’elettore ha un solo voto da spendere per un solo candidato e nessun voto di partito) che pare fatta apposta per favorire pastette e e accordi sottobanco, e infatti è adottata in tutto da tre Paesi al mondo. Poi è quasi sempre boicottata dalle opposizioni, in particolare dal Fronte islamico d’azione, la versione giordana dei Fratelli Musulmani, quindi finisce com’è finita anche quest’amnno: i 120 parlamentari, a parte il caso di qualche indipendente, sono tutti filo-governativi. La cosa piace tanto agli elettori che nella capitale Amman la percentuale di coloro che sono andati a votare si è fermata al 34%.
Per finire, l’Iraq. Come sappiamo, voto a marzo, vittoria dei partiti sciiti d’opposizione su quelli sciiti di governo, otto mesi di vacanza del potere, infine tutto come prima. Sconfitta o no, chi governava prima del voto governa anche ora. come ha detto in un dibattito Tv Shadi Amid, capo ricercatore del Brookings Doha Center americano, “sarebbe ora di farsi con schiettezza una domanda difficile: ci crediamo davvero, in questa democrazia”? Si apre ovviamente il dibattito se la democrazia sia compatibile con l’islam. Più cinicamente, qualcuno potrebbe dire che una democrazia di facciata, in certi Paesi, è sempre meglio di una democrazia che porterebbe al potere (com’è già successo, per esempio, in Algeria negli anni Novanta) i movimenti islamisti come i Fratelli Musulmani.
Tutto vero, tutto ragionevole. Stanno però crescendo generazioni di giovani arabi alle quali risulta sempre più difficile da accettare lo scarto tra ciò che l’amicizia con l’Occidente promette e ciò che poi realizza. Tra la democrazia descritta e quella applicata. Se tutto si risolve in un po’ di cartelloni elettorali, per poi ritrovarsi al potere gli stessi autocrati di sempre (Mubarak, in Egitto, comanda dal 1981) o qualche re spendaccione, è inevitabile che si sentano truffati. Stiamo preparando gli estremisti di domani? Forse non ancora. Ma un pensierino in proposito dovremmo pur farlo.