MARONI, IL COWBOY DEL MEDITERRANEO

“Un errore di interpretazione”. Così Roberto Maroni, ministro degli Interni, ha liquidato l’episodio della motovedetta fornita dall’Italia alla Libia e impegnata a sparare, con osservatori italiani a bordo, a un peschereccio italiano che navigava in acque internazionali. Lasciamo pure cadere la solita cortina fumogena di bugie, tipo quella che i libici volevano sparare in aria e non si sa come hanno colpito l’imbarcazione, e restiamo a quella famosa “interpretazione”.

La cerimonia con cui furono consegnate, alla presenza del ministro Maroni, le motovedette alla Libia.

La cerimonia con cui furono consegnate, alla presenza del ministro Maroni, le motovedette alla Libia.

“E’ stato scambiato il peschereccio per una barca che, non fermandosi all’alt, (i libici, n.d.r) immaginavano avesse a bordo clandestini”, ha aggiunto il ministro Maroni. Eccolo l’errore di interpretazione. A patto di crederci, perché i libici hanno grande esperienza sia dei pescherecci italiani sia dei barconi di clandestini, possiamo concludere questo: se fosse stata un’imbarcazione con clandestini a bordo, mitragliarla sarebbe stato comprensibile. Forse anche giusto?

Si capisce, dunque, perché facciamo ponti d’oro alla Libia di Gheddafi. Per questo il Governo del Cavaliere omaggia la dittatura del Colonnello. In cambio dei campi di prigionia nel deserto, magari di qualche mitragliata, in cambio insomma del lavoro di carceriere che svolge per noi, il finto fondo sovrano della Libia (in realtà, una proprietà privata della famiglia Gheddafi) ha avuto accesso alla stanza dei bottoni della più grande banca italiana. Il patto è questo, il resto è accessorio. Anche perché, a parte la caccia all’immigrato, ciò che davvero abbiamo avuto da Gheddafi è il diritto, per l’Eni, di estrarre petrolio in Libia fino al 2014. Un’ottima cosa, ma anche l’unica. Il resto è ancora tutto sulla carta: Finmeccanica “punta a”, Enel “è interessata a”, Sai anche, Confindustria “vorrebbe” la realizzazione di zone franche, Impregilo “si candida” alla costruzione dell’autostrada costiera. Per ora speranze, insomma.

Intanto Gheddafi spara e noi certifichiamo per bocca di ministro che sparare sui migranti irregolari è accettabile. Su questo tema sarà bene essere chiari: gli italiani devono smetterla di nascondersi dietro l’aggettivo “clandestini”, pure diventato di uso comune. Su quei barconi, quelli che il nostro Governo è orgoglioso di riconsegnare alla polizia del Colonnello, viaggiano migliaia di migranti che clandestini non sono ne vogliono essere. Sono coloro che fuggono di fronte a guerre o calamità naturali e cercano asilo: 17.603 nel 2009, con 7.424 richieste accolte e altre 2.149 proposte di protezione umanitaria (dati Cir – www.cir-onlus.org). Siamo orgogliosi del fatto che si spara anche sulle migliaia che, secondo il nostro stesso Governo, meritano di essere accolte e protette?

Ma non solo. L’immigrazione irregolare va controllata e, nei limiti del lecito, contrastata. Ma qual è la realtà? Eccola: la famosa “Bossi-Fini”, cioè la legge in vigore dal 2002 in tema di immigrazione, non solo ha portato con sé la più vasta sanatoria della storia repubblicana (700 mila beneficiari), ma ha anche certificato l’obbligo della clandestinità. La legge, infatti, in teoria permette l’ingresso in Italia solo a chi ha già una fonte di reddito nel Paese, cioè un posto di lavoro. Quanti ne conoscete di stranieri arrivati così? Quanti tunisini, algerini, rumeni, moldave o ucraine sbarcano qui avendo già trovato un posto? Nessuno, anche se poi sono centinaia di migliaia i muratori, le badanti, gli artigiani stranieri che, trovato il modo di regolarizzarsi, oggi contribuiscono con il 10% al prodotto interno lordo dell’Italia.

Smettiamola di raccontarci favole consolatorie. Il problema vero è una classe politica che, su certi temi, supplisce con il cinismo alla mancanza di preveggenza e saggezza.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 15 settembre 2010.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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