L’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria) ha da poco diffuso dati sull’affollamento carcerario che dovrebbero far riflettere e che invece sono passati nel silenzio dei più. Nell’ultimo anno nelle carceri sono stati creati 1.464 posti in più ma i detenuti sono aumentati di 4.500 unità, dai 63.631 di fine luglio 2009 ai 68.121 di fine luglio 2010. La capienza massima delle carceri italiane è di 44.327 detenuti, quindi immaginate in quali condizioni si scontano le pene nei nostri penitenziari. Condizione, peraltro, comune all’intero sistema: rubo i dati all’ottimo Dossier Carceri di Avvenire per notare che nelle carceri minorili ci sono 527 detenuti contro una capienza massima di 486 e negli ospedali psichiatrici giudiziari 1.829 “ricoverati” su 955 posti.
Tra gli altri dati, spicca quello relativo ai detenuti non italiani. “Il loro incremento”, ha detto Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, “è stato di 1.174 unità che quindi, tenuto conto dei 3.416 italiani in più, risultano essere solo per il 25% causa dell’attuale sovraffollamento. I detenuti stranieri sono oggi 24.675, cioè più del 30% del totale. Da qui il relativo ottimismo di fronte al dato parziale dell’ultimo anno. Mentre invece c’è da cadere nello sconforto nel dover considerare “positivo” questo dato: la percentuale dei detenuti che devono scontare una condanna definitiva “è passata dal 52,4% (pari a 31.412 persone) al 54% (37.219 persone)”. Vuol dire che il 46% di coloro che sono in carcere non è ancora stato condannato in via definitiva, quindi in teoria potrebbe ancora essere considerato non colpevole.
A questo proposito9 vorrei pubblicare qui una riflessione di don Luigi Melesi, salesiano, per trent’anni (1978-2008) cappellano del carcere di San Vittore a Milano, che qualche settimana fa ho raccolto per Famiglia Cristiana. Don Melesi ha da poco pubblicato un libro, intitolato Prete da galera (Edizioni San Paolo) con le memorie della vita in carcere. Ecco il suo pensiero: “Sono perplesso di fronte a questi ultimi allarmi sulla crisi del sistema carcerario. E non perché la crisi non sia reale ma perché è di così lunga data che non ha molto senso definirla, oggi, una “emergenza”. San Vittore, per fare un esempio, era già sovraffollato quando ci entrai io, a fine anni Settanta. In più, non si riesce a capire perché ci siano carceri che scoppiano e altre semivuote, carceri dove ci sono tante guardie e pochi detenuti e altre dove ci sono tanti detenuti e poche guardie. C’è un problema organizzativo. Ma la questione più importante è un’altra”.
E quale sarebbe?
“In Italia tutte le persone che vengono arrestate finiscono in carcere. E sono tante: stando all’Istat, in certi anni si è arrivati al 50% di detenuti che, al processo, sono poi stati giudicati innocenti. Pare impossibile, da noi, avere ciò che altri Paesi, come la Svizzera, hanno da molto tempo: un precarcere, riservato a coloro che attendono di essere giudicati. E quindi distinguere tra coloro che sono sospettati di aver commesso un reato e coloro dei quali si sa che l’hanno davvero commesso. Se c’è un’emergenza, in Italia, è questa: troppa gente finisce dietro le sbarre».