SINDACATO IN CRISI, MONDO CHE CAMBIA

Si è parlato spesso della crisi del sindacato italiano. Ma sarà vero? E poi: è una buona o una cattiva notizia? Per dare una risposta può essere utile dare un’occhiata a qualche dato. I sindacati italiani hanno circa 12 milioni di iscritti. Tenendo conto del fatto che tali iscritti sono per il 47% pensionati, la densità sindacale (ovvero, la percentuale di coloro che sono iscritti al sindacato rispetto al totale dei lavoratori) in Italia è del 33,2% (fonte: www.worker-participation.eu, dati 2007).

sindacato

Non è poco. Il calo degli iscritti al sindacato è una costante in tutti i Paesi sviluppati, anche più che da noi. In Giappone si è passati dal 35% a meno del 20%. In Germania dal 45% a meno del 30%. In Irlanda dal 52% al 30%. Negli Stati Uniti dal 22% all’11%. E così via dappertutto, negli ultimi tre decenni, con qualche caso ancor più particolare: in Francia, per esempio, solo l’8% dei lavoratori è iscritto a un sindacato, mentre in Danimarca lo è il 70%, anche se in calo rispetto al passato.

Altra caratteristica comune a tutti i Paesi industrializzati: cresce, nel sindacato, il peso dei dipendenti pubblici e cala quello dei dipendenti delle aziende e delle industrie private. L’esempio più clamoroso è quello degli Stati Uniti: l’anno scorso, per la prima volta, i dipendenti pubblici iscritti al sindacato hanno superato per numero (7,9 milioni contro 7,4) quelli privati. E non basta: nel settore privato solo il 7,2% dei lavoratori è iscritto al sindacato mentre in quello pubblico la quota degli iscritti arriva addirittura al 37,4%.

E’ il segno, ovviamente, di un mondo che cambia: clamorosamente, e forse dolorosamente. Cala il peso dell’industria nelle economie nazionali, cresce quello dei servizi, aumenta la voglia di autonomia da parte dei lavoratori, e mille altre possibili considerazioni. Bisogna andarci piano, però, a identificare i lavoratori del pubblico impiego, che in tutto il mondo sono i più attaccati alle loro rappresentanze sindacali, come dei retrogradi impegnati soprattutto a difendere i propri privilegi.

Lo dico per una ragione precisa. Economica. Secondo i calcoli del Fondo Monetario Internazionale, entro il 2014 il debito pubblico dei Paesi più sviluppati raggiungerà, in media, il 110% del Prodotto Interno Lordo, ben 40 punti in più (sempre in media) del 2007. Il livello di debito più alto registrato in tempo di pace. Ridurre quella montagna di debiti sarà un lavoro durissimo e bisognerà compierlo usando soprattutto due “arnesi”: la leva fiscale (cioè, far salire le tasse) e il taglio delle spese. E per i Governi tagliare le spese vorrà dire ridurrre il numero dei dipendenti dello Stato. Nulla di cui stupirsi, se loro si aggrappano al sindacato.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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