ITALIANI A SPASSO, IMMIGRATI AL LAVORO

Per carità, sciocchezze ne dico. In più, pensavo che Obama non avrebbe vinto le elezioni, ho nostalgia (un po’) della vecchia politica, guardo poco la Tv. Per cui. Però mi piacerebbe che qualcuno desse un’occhiata ai numeri sulla disoccupazione in Italia appena pubblicati dall’Istat. Il dato assoluto, cioè che l’8,6% degli italiani non ha lavoro, parla da solo. Unito ad altri, per esempio che in Italia il tasso di occupazione delle donne è tra i più bassi d’Europa, o che da noi il tasso di attività (cioè il rapporto tra la popolazione che davvero lavora e quella in età da lavoro) è tra i più bassi d’Europa (57,5%), non parla più: grida.

Un immigrato al lavoro nei campi.

Un immigrato al lavoro nei campi.

Ma non è questo. Qualcuno ha notato come si è formato il calo di 380 mila posti di lavoro dell’anno scorso? Così: 527 mila posti persi da lavoratori italiani de ben 147 mila (61 mila uomini e 86 mila donne)  guadagnati dai lavoratori immigrati. 527 – 147 = 380, appunto.  La morale della favola è piuttosto evidente:  l’apporto dei lavoratori immigrati è ormai parte integrante dal sistema produttivo italiano. Questo, secondo me, per due ragioni.

La prima è che il nostro sistema è “drogato” dall’eccessiva disponibilità di lavoratori precari. La cosiddetta “flessibilità”, nella Immigratilavoro1declinazione quotidiana del nostro Paese, non è che precarietà a tempo indeterminato. Dei 380 mila posti persi nel 2009, infatti, 211 mila venivano da precari e “indipendenti” (piccoli professionisti, artigiani, collaboratori). Lavoratori usa e getta, facili da scaricare quando il famoso libero mercato presenta il conto a quelli che lo adorano, sì, ma solo quando le cose vanno bene.

Una coppia di "badanti" straniere.

Una coppia di "badanti" straniere.

La seconda ragione è che ormai gli immigrati, sul lavoro, non sono più sostituibili dagli italiani. Almeno non automaticamente. Abbiamo spesso sentito la Lega Nord sostenere (per esempio, dopo i fatti di Rosarno) che gli immigrati non devono entrare perché il lavoro è poco, quindi è meglio darlo agli italiani. Sì, ciao. Il fatto che le donne immigrate abbiano trovato lavoro in misura superiore ai loro uomini dimostra che certi mestieri (nella sanità, nella cura della persona, nei lavori domestici) ormai li fanno solo loro. E se gli immigrati uomini continuano a trovare lavoro, ciò può dipendere solo da due fatti: hanno professionalità che gli italiani hanno perso (caso più raro) o che fanno pagare a prezzo troppo caro (caso più frequente); oppure si adattano più facilmente alla brutalità di un sistema produttivo (quello, appunto, del lavoratore “usa e getta” che oggi fa il muratore, domani il portinaio e dopo domani lo scaricatore ai mercati) che gli italiani respingono o cercano di aggirare appoggiandosi alla solidarietà familiare, al welfare della mamma. In tutti i casi, non sarebbe ora di smettere di elogiare la cosiddetta “mobilità” e di piantarla di rompere le scatole agli immigrati?

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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