Certo, la domenica sera, se il Toro vince a Padova con la penultima della classifica di serie B, sono lo stesso contento come una Pasqua. Però, se provo a pensarci, mi rendo conto che tifo per uno sport in cui le vittorie solo in parte si conquistano, perché in gran parte si comprano.
Non penso a tresche sotterranee, corruzione di arbitri, compravendita di favori. Men che meno ho in mente Calciopoli. Resto al puro fatto economico, anzi: ai conti della serva. Prendiamo l’Inter, squadra di formidabili campioni: ha chiuso l’annata 2006/2007 con un passivo di gestione di 206,8 milioni di euro, quella 2007/2008 sotto di 148 milioni di euro e quella 2008/2009 sotto di 154 milioni di euro. Il Milan degli assi brasiliani ha chiuso il bilancio 2008 con un passivo di 66,8 milioni di euro. Per la Juventus, la Vecchia Signora del calcio italiano e la squadra che ha le entrate più elevate della serie A, il 2008 si è concluso con 20,8 milioni di passivo. Roma e Lazio hanno avuto, in anni recenti, situazioni anche peggiori.
Poi, appunto, si tifa come se tutto fosse normale. Ma questo calcio non ha più rapporto con nulla. Non con la società, che vive dinamiche affatto diverse. E non si capisce che cos’abbia ormai a che fare con lo sport: i
calciatori sono atleti seri, ma formare una squadra di vertice in base al fatto che si è in grado di spendere più di chiunque altro, che cosa c’entra più con lo sport? Se l’Inter vince con Mancini come con Mourinho, con Ibrahimovic o con Eto’o, non è lecito pensare che la vera differenza la faccia la capacità di spesa del presidente Moratti? Non vinceva forse tutto il Milan quando il presidente Silvio Berlusconi era ancor più munifico di oggi e non vendeva i suoi Kakà?
Per chi mi scambia per un nostalgico di De Coubertin, aggiungo per finire che il calcio non ha nessun rapporto con l’economia aziendale. se un’industria fosse gestita come le società di calcio, andrebbe fallita in una stagione. Quelli di cui ho parlato prima sono i passivi di gestione. Dicono gli esperti, però, che il vero indicatore sono i debiti. Se uno prende le 20 società che hanno disputato il campionato 2007/2008, scopre che, messe insieme, arrivano a un debito collettivo pari a 1881,7 milioni di euro a fronte di un patrimonio netto (capitale più riserve meno perdite) collettivo di soli 302 milioni.
E non è che all’estero siano diversi da noi, o più furbi. I nostri presidenti si lamentano della tassazione, ma anche dove l’Irap
non c’è le cose vanno allo stesso modo. In Spagna vincono o il Real Madrid o il Barcellona, cioè quelli che possono spendere di più, e comunque sono secondi nella classifica internazionale dei debiti calcistici. In Gran Bretagna (primo Paese calcistico per debiti: 3,8 miliardi di sterline nel 2008, pari a 4,3 miliardi di euro. Bravi, no? Volete la classifica europea a squadre? Eccola.
- Manchester United debiti per 800 milioni di euro
- Real Madrid 565
- Barcellona 440
- Inter 395
- Milan 390
- Arsenal 340
- Liverpool 335
- Schalke 04 280
- Roma 152
- Juventus 144
Ciò significa, come peraltro ben sappiamo, che se non arriva il Moratti, il Berlusconi o l’Agnelli di turno a versare un consistente obolo, queste società chiudono i battenti. Altro che serie B. C’è chi sostiene che il problema è spuntato da quando (1996) le squadre di calcio sono state inquadrate, con apposita legge, “società a fini di lucro”. Il che è buffo, visto che, come società, non producono altro che passivi.
Credo sia possibile affermare senza scandalo che le squadre di calcio sono ormai delle compagie di giro. Hanno le loro soubrette, c’è il loggione che grida, gli stadi più importanti sono regolarmente paragonati ai grandi teatri (non avete mai sentito Caressa di Sky parlare del “palcoscenico di San Siro”?). Per conseguenza, mi sento di chiedere ai pur stimabili mecenati del calcio di farsi anche sponsorizzatori di compagnie teatrali oppure orchestre giovanili. Al prezzo di un medio giocatore dei loro, potrebbero farne vivere una per qualche anno.