IN ITALIA E’ SEMPRE ORA DI “MANI PULITE”

Compie 18 anni in questi giorni (era febbraio anche quando fu pizzicato Mario Chiesa) l’indagine Mani Pulite. Ed è singolare, e in un certo senso persino divertente, che proprio mentre si tenta la postuma beatificazione di Bettino Craxi e l’attualissima demonizzazione di Antonio Di Pietro (diventato “servo della Cia”, come si diceva ai bei tempi, dopo essere stato per tanto tempo una “toga rossa”), ogni giorno ci offra l’occasione per pensare che forse Tangentopoli non è mai finita. E che Mani Pulite è stata solo una modesta passata di spugna.

Antonio Di Pietro nel periodo di Tangentopoli.

Antonio Di Pietro nel periodo di Tangentopoli.

Il vero o presunto “caso Bertolaso”, che comunque ha già portato all’arresto di un signore, Angelo Balducci, che non è un Pinco Pallino qualunque ma il presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici. Il presidente della Commissione Urbanistica del comune di Milano, Milko Pennisi, colto sul fatto mentre intascava una bustarella. Il presidente della provincia di Vercelli, Renzo Masoero, finito ai domiciliari. Pier Gianni Prosperini, ex assessore al Turismo della Regione Lombardia, messo in carcere con la solita accusa di corruzione e tangenti. Rosanna Gariboldi, ex assessore provinciale di Pavia e moglie di deputato, che ha patteggiato 2 anni per riciclaggio e restituito 1 milione e 200 mila euro. E tanti tanti altri, da Nord (da dove vengono quelli che ho citato a mente) a Sud, per tutti i gusti.

Non sono mai stato un fan di Di Pietro e nemmeno lo sono diventato. E, certo, non sono un fan del premier Berlusconi che, al posto di verificare se e quanto gli eventuali rami marci della Protezione Civile hanno rubato al suo

Mario Chiesa nel 1992: il suo caso diede il via a "Mani Pulite".

Mario Chiesa nel 1992: il suo caso diede il via a "Mani Pulite".

Governo, va all’attacco dei magistrati. Ma queste beghe tra “giustizialisti” e “garantisti”, di cui m’importa poco, coprono di fumo un problema assai più serio: il fallimento della cosiddetta “società civile” e la fine di ogni speranza di una riforma liberale in Italia.

Le due cose vanno di pari passo e sono legate alla stagione di Tangentopoli. Fu proprio in quel periodo, infatti, che si cominciò con insistenza a pensare che l’inserimento in politica di professionisti, imprenditori, intellettuali avrebbe potuto colmare l’abisso che si era aperto tra il Palazzo e i cittadini e, così facendo, avviare lo smantellamento del consociativismo che bloccava le forze migliori del Paese. Di questo teorema fu proprio Silvio Berlusconi (non a caso negli anni di Mani Pulite più forcaiolo che garantista, come pure la Lega Nord) il miglior interprete, anzi: la personificazione stessa delle energie positive e pulite che avrebbero rivoluzionato l’Italia in senso liberale.

Sono bastati pochi anni per dimostrarci che la società (civile) italiana non era migliore della classe politica che aveva espresso per cinquant’anni. Basta

L'immagine di un'altra epoca: una manifestazione di sostegno ai magistrati di "Mani Pulite".

L'immagine di un'altra epoca: una manifestazione di sostegno ai magistrati di "Mani Pulite".

osservare l’evoluzione dei dati dell’evasione fiscale, l’onda impetuosa della xenofobia, la qualità dei programmi televisivi, insomma: basta guardarsi intorno per capire che l’italiano medio non può troppo prendersela con il consigliere comunale che intasca qualche migliaio di euro. Questo tessuto sociale si è baloccato per qualche tempo con la frase fatta della “rivoluzione liberale” sapendo benissimo che un tale cambiamento sarebbe stato, per le nostre storiche abitudini, del tutto intollerabile. Appalti trasparenti? Competizione? Concorrenza? Ricompensa del merito? Siate sinceri: è ciò di cui fate esperienza nella vita di tutti i giorni? Davvero possiamo pensare che sia tutta colpa di qualche migliaio di politici se una nazione di 60 milioni di abitanti come l’Italia è 63° nella graduatoria mondiale  di Transparency International, dopo il Sudafrica e la Turchia e appena prima dell’Arabia Saudita?

E’ su questo terreno che un’opposizione minimamente attrezzata dovrebbe, e per chi vuole potrebbe, sfidare il Cavaliere, che è tutto tranne che un liberale e semmai somiglia a quegli oligarchi russi che sono cresciuti nella perenne commistione dell’interesse privato con le procedure e le risorse dello Stato. Ma vicende come quella della Puglia, con l’apparato che cerca di far fuori il candidato preferito dai militanti e dagli elettori, paiono fatte apposta per dimostrarci che la rivoluzione liberale la faranno, forse, i nostri figli. Sempre che il precariato perenne non li spenga prima, per trasformarli a furia di provvisorietà in docili adoratori dell’immobilismo.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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