2009, l’anno della grande crisi. Sì, ma non per tutti. Non per il club dei miliardari in euro della finanza che, almeno in Italia, erano 11 a fine 2008 e sono diventati 14 a fine 2009. Tra loro c’è un signore, anzi un Colonnello, il cui caso merita di essere ricordato. Muhammar Gheddafi, dittatore della Libia, nel 2009 ha realizzato presso la Borsa italiana una performance da fuoriclasse: un guadagno dell’82%, pari a un capitale da 1,8 miliardi di euro. Tra i miliardari della finanza quella del Rais è la seconda miglior raccolta dell’anno, preceduta solo da quella dell’imprenditore franco-polacco Romain Zaleski, tradizionale protagonista delle sedute di Piazza Affari.
Nell’Italia delle escort e delle amanti vendicative, cosucce come questa passano quasi inosservate. Peccato. Al colonnello Gheddafi non mancano certo i risparmi: pare che negli ultimi vent’anni i soli profitti del petrolio gli abbiano regalato un gruzzolo di 100 miliardi di dollari, di cui può disporre senza rendere conto a nessuno, tanto meno ai libici. Ed è altrettanto vero che il suo interesse per l’Italia è di vecchia data. Nel 1976 spese 415 milioni di dollari per assicurarsi il 10% delle azioni Fiat (6 mila lire per azioni, quattro volte il prezzo di Borsa dell’epoca), più tardi rivendute con profitto. Di quel connubio con gli Agnelli a Gheddafi è rimasta una partecipazione nella Juventus (7,5%), nel frattempo quotata in Borsa. A fine anni Novanta, inoltre, Gheddafi fu invitato da Cesare Geronzi a partecipare al capitale di Banca di Roma: i libici salirono fino al 5% di Capitalia (il gruppo nato nel 2002 dalla fusione di Banca di Roma con Bipop-Carire), per poi ritrovarsi allo 0,9% per la fusione (2007) tra Capitalia e Unicredit. A fine anni Novanta il Rais ha investito anche nel Gruppo tessile Olcese.
La proficua cavalcata di Gheddafi alla Borsa italiana del 2009 si è realizzata in gran parte grazie a un lungimirante investimento: 2 miliardi di dollari per salire alle soglie del 5% delle azioni di Unicredit, il maggior gruppo bancario italiano. Guarda combinazione, l’operazione va in porto ai primi di ottobre 2008, qualche settimana dopo che il Governo italiano e quello libico hanno siglato (30 agosto 2008) il Trattato di Amicizia che prevede il versamento, da parte dell’Italia, di 5 miliardi di euro (tranche da 200 milioni l’anno per 25 anni) per compensare il nostro dominio coloniale (1911-1943) sul Paese africano. Nella realtà, quello che noi lautamente compensiamo è l’impegno di Gheddafi a combattere l’immigrazione illegale che si rovescia sulle nostre coste, salita dalle 19 mila persone del 2007 alle 36 mila del 2008. Lo stesso Colonnello oggi teme i flussi migratori: i proclami panafricani servono per la propaganda, nei fatti la Libia ha già il 10,5% degli abitanti (che in totale sono 5,8 milioni) composto da immigrati e il dittatore teme che prima o poi questa componente possa incrinare la stabilità del suo regime. E infatti il Governo Berlusconi pattuisce di aiutarlo a sigillare non solo le nostre ma anche le sue frontiere, finanziando al 50% (il resto dovrebbe metterlo la Ue) il rafforzamento dei 4 mila chilometri del confine Sud della Libia.
Firmato l’accordo, partirà la famosa e famigerata campagna dei “respingimenti”, con quel che ne segue: barconi rimpallati tra questo e quel Paese, drammatico calo degli sbarchi, i centri di raccolta dei clandestini svuotati, le grida di giubilo del Governo e del centrodestra.
(1.continua)