VIVA L’ITALIA E LE 250 MILA PICCOLE AZIENDE DEI LAVORATORI IMMIGRATI

Credo meriti attenzione il rapporto diffuso da InfoCamere (la società di rilevazione informatica delle Camere di Commercio) sulla condizione della piccola imprenditoria creata in Italia da immigrati di Paesi non appartenenti all’Unione Europea. I dati mostrano che sono 250 mila le imprese individuali costitute da immigrati, attive soprattutto nel commercio (43,2%) e nel settore dell’edilizia e affini (27,2%).

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      I settori economici in cui sono più presenti le piccole aziende gestite da immigrati extracomunitari.

      In alcune zone d’Italia, le piccole aziende degli immigrati sono una presenza già massiccia e, quindi, economicamente rilevante per il tessuto sociale. A Prato, in Toscana, sono il 31,85% di tutte le aziende di quella categoria. Questo dato magari non sorprende, la vicenda della Prato “cinese” è nota in tutta Italia e la Toscana, si sa, è regione d’elezione per l’imprenditoria degli immigrati.  Ma che dire, allora, di Milano, dove le piccole imprese di immigrati sono il 15,66% del totale, o di Trieste (15,27%), Firenze (15,19%), Reggio Emilia (14,77%), Pisa (12,51%), Genova (11,52%) e della lunga serie di città (da Parma a Catanzaro) attestate intorno al 10%?

     

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      I continenti da cui provengono (in dati assoluti e in percentuale sul totale) gli immigrati che sono diventati imprenditori in Italia. 

  Altra sorpresa: è l’Africa a fornire il maggior numero di piccoli imprenditori immigrati, con 97 mila imprese individuali (39,6% del totale) che vedono in testa il Marocco (46.834 imprese) seguito dal Senegal (13.597) e poi da Tunisia, Egitto e Nigeria. L’Europa arriva seconda con l’Albania come capofila, seguita da Serbia e Montenegro (considerate insieme), Macedonia, moldavia e Ucraina. Io, nella mia ignoranza, avrei scommesso sull’Asia che invece è solo terza (23,5% delle imprese) in questa particolare classifica per continenti, trainata dalla Cina (33.609 imprese) ma poi da Bangladesh, Pakistan, India e Turchia.

    Ma di tutti i dati (potete consultare il rapporto su www.infocamere.it) quello che più mi ha sorpreso è questo: nel periodo aprile-giugno 2009, cioè nei mesi in cui più si è parlato della crisi e si è previsto un autunno “caldo” su tutti i fronti, le imprese individuali degli immigrati sono cresciute di 4.126 unità rispetto al trimestre gennaio-marzo. Un aumento dell’1,7% mentre su scala nazionale lo stesso dato su tutte le imprese individuali parla, secondo InfoCamere, di una crescita del solo 0,25%. Come leggere questa maggiore vocazione imprenditoriale degli immigrati? Più coraggio? Più disperazione? Più spazio in settori magari negletti da noi italiani d’Italia? Non saprei dire, ci vorrebbe un esperto del settore. Però mi ha fatto piacere scoprire che nella realtà sociale questo Paese non è inospitale come qualcuno vorrebbe (e come forse troppo spesso tendiamo a credere), che l’integrazione è ancora possibile e che qualcuno, qui da noi, ancora trova se non l’America, almeno un pezzetto d’Italia in cui darsi da fare.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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