GABBIE SALARIALI E MERCATO: PERCHE’ I LIBERALI ITALIANI TACCIONO?

Agosto, polemica sulle gabbie salariali. In base ai fatti, la questione è chiusa: al Sud la vita costa meno, il Nord ha salari maggiori, servizi migliori, e mutui e tassi costano meno. Pari e patta. Le cifre le trovate sui giornali, comprese quelle della “Indagine sulle imprese e dei servizi” (www.bancaditalia.it) della Banca d’Italia, l’osservatorio più autorevole. D’altra parte basta il buon senso, l’antidoto più efficace alle sparate del Senatur e alle ritirate del Cavaliere: se è così bello e conveniente vivere al Sud, com’è che l’immigrazione interna degli italiani è tutta da Sud a Nord?


Ma non è questo, adesso, che più m’interessa. Mi piacerebbe invece sapere come mai i liberali italiani non partecipano alla polemica. Sono intervenuti politici, sindacalisti, industriali, ma loro no. Dove sono finiti, di colpo, i sostenitori del libero mercato? Gli apologeti degli animal spirits del capitalismo? I fedeli seguaci della teoria che gli attori dell’attività economica vanno lasciati liberi di agire e contrattare i reciproci rapporti? Qualcuno sarà in ferie, altri colpiti da improvvisa raucedine: mi aspettavo di leggere le loro intemerate sul mercato violato e invece niente, nulla, nada de nada. Per loro, va bene così. Anche se le “gabbie” in Italia ci sono già state, quindi si sa bene di ciò che si tratta. Varate nel 1954 e abolite nel 1969 per iniziativa del sindacato (allora nel Sessantotto non ci furono solo iniziative nefaste), dividevano l’Italia in 14 zone (poi ridotte a 7 nel 1961) con scarti tra i salari che andavano fino al 29%. Uno strumento regolatorio, quindi, tipico di un Paese che doveva ricostruirsi dopo la guerra. Che c’entra, tra l’altro, con l’Italia disinvolta e moderna, potenza industriale all’avanguardia in Europa, che ogni giorno ci descrive, pure con qualche ragione, il premier Berlusconi?
Eppure i liberali, anche quelli con doppio o triplo cognome, anche quelli con gli occhialetti alla Cavour, tacciono. Per esempio: un Piero Ostellino che si scatena anche sull’ultima delle norme dell’Unione Europea, ovviamente colpevole di troppo dirigismo, e che allegramente accusava il Governo Prodi di inclinazioni staliniste, non ha nulla da dire su Bossi che propone e il Premier che approva le gabbie salariali? Ma i liberali italiani sono liberali per modo di dire. Se fossero liberali, sarebbero i primi a criticare lo stile politico del Cavaliere, che di liberale non ha niente. Berlusconi è un oligopolista e come tale si muove. Il suo partito non fa congressi, quindi non discute: e il libero scambio delle opinioni? La sua maggioranza va avanti a voti di fiducia, il Parlamento ratifica e basta: e il dibattito delle idee? La televisione italiana è roba sua, al massimo il confronto è con Rupert Murdoch: tipica situazione da oligopolio. Le leggi sono modellate prima sulle sue esigenze e poi su quelle del Paese. L’autonomia dei poteri, dalla magistratura (orribile) alla Banca d’Italia alla Corte dei Conti, è sempre più a rischio. L’Italia ha il record europeo nella tassazione sul reddito da lavoro (40% e oltre) e una tassazione tra le più basse sui redditi da capitale (12%), altro oligopolismo più o meno mascherato. Il conflitto d’interessi, che in nessun altro Paese (Birmania forse esclusa) viene tollerato proprio perché illiberale, da noi trionfa e nessuno ne parla più.
Abituati a tacere su tutto questo, i cosiddetti liberali italiani non possono certo mettersi a strepitare, di colpo, sulle gabbie salariali. Al contrario, usano l’argomento frusto del “moralismo” per attaccare chiunque ancora se ne occupi. Anch’io credo che la condotta privata e personale di chicchessia, Berlusconi incluso, vada tenuta separata e distinta dalla sua azione pubblica e che il “moralismo” non possa sostituire le idee politiche. Detto questo (ma detta anche un’altra, banalissima cosa: se il politologo Panebianco, autorevole firma del Corriere della Sera, avesse un vicino di casa importante, con incarichi di responsabilità pubblica, che organizza festini con prostitute e forse con droga, qualche pensierino lo farebbe o no?), resta che la presente stagione politica, sotto l’azione congiunta del berlusconismo e del leghismo, si configura come un attentato permanente alle fondamento della Stato liberale. Ma i liberali italiani preferiscono tacere.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top