TIBET LIBERO, LA STORIA E’ UN PO’ PIU’ COMPLICATA DI COSI’

Le brutalità cinesi in Tibet non possono avere alcuna giustificazione (si parla di 1.200 persone scomparse nel nulla dopo la rivolta del 2008) e l’aspirazione dei tibetani a una piena e completa indipendenza è più che legittima. Però… Però è anche lecito chiedersi perché negli infiniti articoli di molti difensori dei diritti dei tibetani (e degli ancor più numerosi pseudo-difensori) non si trovi mai, e dico mai, un minimo accenno di ricostruzione storica, qualche data, un po’ di contesto. Curioso, no?

       La ragione di quest’assenza è semplice: ad analizzare le vicende storiche si esce, inevitabilmente, un po’ meno convinti della santità della causa indipendentista dei tibetani. Che, ripeto, è legittima ma non così scontata come vogliono farci credere. La Cina reclamò la sovranità sul Tibet per la prima volta in modo ufficiale (con una dichiarazione del ministro degli Esteri) nel 1904. Perché proprio allora? Perché l’impero britannico aveva inviato dall’India in Tibet 20 mila soldati (foto sotto, la spedizione inglese del 1904), al comando di sir Francis Yonghusband, adducendo come scusa un presunto “interesse” della Russia zarista sulla regione. Il Dalai Lama non si fidava degli inglesi e pensò bene di fuggire in Mongolia. Sir Younghusband, allora, s’inventò un reggente e un Governo provvisorio e li costrinse e firmare un trattato che, oltre a tasse e indennizzi vari, impegnava il Tibet a non avere rapporti con altri Paesi senza l’approvazione della Gran Bretagna; nel 1906 la Cina si assunse tutte le obbligazioni verso la Gran Bretagna che prima ricadevano sul Tibet; e nel 1907, per finire, l’impero britannico e quello cinese si accordarono affinché tutti gli “affari” del Tibet, comprese le relazioni estere, venissero trattati attraverso la Cina, proprio in considerazione della quasi perenne dipendenza del Tibet dal Governo di Pechino.

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      E ancora: nel 1910 gli imperatori cinesi manciù invasero il Tibet, nel 1911 scoppiò la rivoluzione in Cina, nel 1912 le truppe inglesi cacciarono quelle cinesi. Nel 1914 Tibet, Cina e Gran Bretagna trattarono a lungo sullo status della regione e venne anche elaborata la Convenzione di Simla, che i cinesi rifiutarono però di firmare perché, secondo loro, troppo favorevole agli inglesi.

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        Teniamo bene a mente questa data, 1914. Perché è al periodo cominciato allora e finito nel sangue nel 1950 con l’ultima invasione cinese che si riferiscono, più o meno implicitamente, gli attuali grandi sostenitori della causa tibetana (nella foto sopra, la bandiera del Governo tibetano in esilio). Soprattutto alla prima parte, fino al 1933, quando sul Tibet si esercitò la mano benevola e intelligente di Thubten Gyatso, tredicesimo Dalai Lama, portato in trionfo dopo le lunghe peregrinazioni dovute alle guerre e alle invasioni: creò le prime linee telefoniche ed elettriche, fece tracciare strade e costruire acquedotti, organizzò un servizio postale.

       1914 – 1950, dunque. E si badi bene: in quel periodo, nessun Paese riconobbe l’esistenza del Tibet come Stato autonomo. Nessuno. L’indipendenza del Tibet è più o meno tutta lì, se si esclude un periodo di una quarantina d’anni alla fine del Seicento, quando l’autorità dei vari Dalai Lama crebbe a tal punto da spingere l’impero cinese a riconoscere alla regione una larga forma di autonomia. Non è moltissimo, dunque, rispetto ai molti secoli trascorsi come parte dell’impero mongolo (più di quattro) o dell’impero cinese (sei).

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        Detto questo, dobbiamo augurarci che la pressione internazionale porti beneficio ai tibetani (foto sopra, l’arresto di un monaco), renda se non altro meno oppressivo e intollerante il dominio cinese, restituisca il Dalai Lama al suo popolo, contribuisca magari alla tanto sognata indipendenza. Occhio, però: tra i tanti che strillano per il Tibet, ce ne sono molti a cui importa solo rompere le scatole alla Cina. Dei tibetani non gliene potrebbe fregar di meno.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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