DA ISRAELE 3: CRISTIANI, PALESTINESI, MUSULMANI, EBREI, IL DRAMMA DELLA LINGUA COMUNE

Oggi sono stato a Betlemme a trovare due persone per cui provo stima e ammirazione. Una di queste è Charlie Abou Saada (in arabo, Charlie il Padre della Felicità), un giovane palestinese melkita cattolico, figlio di sacerdote e nipote di vescovo, che mi ha invitato a pranzare con la sua famiglia.

Charlie vive a Beit Saour (il villaggio dei pastori del Vangelo) che, con Beit Jalla e appunto Betlemme, forma il triangolo cristiano dei territori palestinesi. La casa dove vive fu costruita dal padre in tredici anni di sacrifici un po’ di tempo fa, per sua fortuna: perché ora si trova a 50 metri dal Muro (o Barriera di Separazione) e a un chilometro dall’insediamento israeliano. Le case costruite in epoche più recenti, tutte appartenenti a cristiani, sono ora minacciate di abbattimento perché troppo vicine al “confine”. La sua è comunque salva perché costruita prima che Israele decidesse queste norme di sicurezza.

Ci sarebbe molto da raccontare: il Muro, i cristiani, i palestinesi, gli israeliani, i suoi figli Jacques e Rinhaad che gli chiedono chi siano quei ragazzi col fucile. Ma non di questo vorrei trattare. Vorrei invece parlare di linguaggio. Come si può dialogare se non si trova una lingua comune? Qui, a dispetto delle cannonate e dei missili, pare la domanda più angosciosa e, non a caso, viene fuori da ogni incontro. Durante le tre settimane della guerra di Gaza, le radio palestinesi si sono messe a lutto e hanno trasmesso quasi solo inni patriottici. Solo Charlie, che anima un programma a sfondo religioso da una radio di Beit Saour, ha continuato a parlare, per di più di pace, invitando in diretta intellettuali e politici palestinesi. “La pagina in arabo del sito della nostra organizzazione, Le nostre radici (www.jouthouruna.com), ha avuto in gennaio quasi 75 mila visitatori”, dice Charlie: “E’ quindi un peccato che non ci siano vere riviste cristiane in arabo, che i vescovi della Chiesa cattolica usino così poco l’arabo nei loro testi”.

Due ore fa, sempre a proposito di lingua comune, ho incontrato un funzionario del Governo di Israele che, diciamo per dovere professionale, ha frequenti incontri con la controparte palestinese. Tra le tante cose interessanti, è uscita anche questa: “Una volta un dirigente palestinese, chiacchierando in una pausa dei colloqui politici, mi disse che a loro sarebbe andato anche bene lo Stato degli ebrei, se solo non fosse stato così impregnato di cultura occidentale. Un assurdo storico, ovviamente, che però mi ha proiettato per un attimo dietro i loro occhi, nel loro modo di vedere le cose al di là della stretta contingenza”.

Terzo caso, però di ieri. Incontro padre David Neuhaus, gesuita, biblista, insegnante di seminario, attivista dei movimenti per la pace. Siede nel consiglio direttivo di B’Tselem, forse la più nota delle organizzazioni per la difesa dei diritti civili (www.btselem.org) e mi racconta che spesso, nelle loro riunioni, spunta questa discussione: dobbiamo rivolgerci direttamente all’opinione pubblica internazionale, visto che quella di Israele pare ormai sorda al discorso della pace, oppure è meglio continuare a cercare un modo per farsi intendere dai cittadini di Israele? “In queste settimane di guerra”, dice padre Neuhaus, “c’è stata una generale indifferenza nei confronti delle vittime. Ha colpito solo il caso del medico palestinese al quale le bombe israeliane hanno ucciso tre figlie. Lui è un moderato, anzi, un noto oppositore di Hamas. Ma non è stato questo a fare la differenza: il fatto è che lui aveva lavorato anche in due ospedali israeliani, parla perfettamente l’ebraico, nessuno poteva far finta di non capire il suo dramma di padre e di civile innocente”.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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